4 Mosche di Velluto Grigio torna al cinema, il cult di Dario Argento sarà in versione restaurata

Sono passati 54 anni da quello storico 1971 in cui usciva nelle sale uno dei capisaldi del cinema italiano. Un film thriller horror che ha ridefinito un genere e che ora è pronto a tornare, per la prima volta in assoluto, in versione restaurata in 4K nei cinema di tutta Italia il prossimo 14 Luglio, da CG Entertainment in collaborazione con Cat People, grazie a Surf Film. Stiamo parlando di 4 Mosche di Velluto Grigio, il cult di Dario Argento, ultimo capitolo della sua trilogia degli animali che con la giusta dose di angoscia, intrigo e ossessione, si predispone come uno degli eventi dell’anno. Sul sito di CatPeople verranno presto rese note tutte le sale italiane in cui sarà possibile godersi il film.

Attenzione!

4 Mosche di Velluto Grigio partecipa a Cinema Revolution, con il biglietto al prezzo speciale di 3,50€.

Il film che anticipa la forza visionaria di Profondo Rosso e Suspiria, con la colonna sonora di Ennio Morricone, è pronto per il grande schermo con i suoi momenti crudeli e conturbanti, ma anche con le sue componenti più grottesche e sentimentali. A lungo considerato il film perduto di Argento, poiché scomparso dalla circolazione a causa di questioni di diritti fino all’inizio degli Anni Duemila, ancora oggi è uno spettacolo sfrenato di suggestioni.

Sul fondo di 4 Mosche giacciono inquietudine e senso di solitudine, mentre tutto intorno esplode anarchicamente tutto l’immaginario dell’Argento di quel tempo, anticipando e preparando il terreno per quello che sarà Profondo Rosso pochi anni dopo: un cinema poliedrico dove l’intreccio giallo e la più classica indagine costituiscono i punti d’unione tra espressioni e generi tanto diversi quanto intrecciati, apparente distanti ma consonanti.

La Sinossi

Roberto, un giovane musicista, viene pedinato per giorni da un uomo misterioso e una sera decide di affrontarlo, finendo con ucciderlo accidentalmente. Qualcuno ha però visto tutto e inizia a perseguitare Roberto con messaggi e fotografie. Le indagini al riguardo innescheranno una spirale di paranoia e ossessione dietro la quale si cela un agghiacciante segreto. Ultimo e più visionario capitolo della “trilogia degli animali” di Argento che anticipa molti elementi di Profondo Rosso.

Thriller, commedia, fantascienza, musica, spunti autobiografici cuciti insieme: labirinto di immagini e suoni in cui perdersi, paure a cui abbandonarsi, sogni la cui impronta stilistica e tecnica ammalia come un dolce disagio anarchico e sperimentale per invenzioni e tecnica. Perché Argento non è solo giallo, brivido, terrore. Argento è meccanica sregolata dell’allucinazione e dell’incubo, palcoscenico di tutte quelle paure semplici e pure che solo un artista libero e fuori dagli schemi può dipingere in modo immortale.

Al terzo film (nell’arco di soli due anni), Argento era ancora in forma smagliante e, se a causa de L’uccello dalle piume di cristallo e Il gatto a nove code, abbondavano tutte quelle rivisitazioni e cosiddette imitazioni che hanno di fatto dato vita al periodo più florido del giallo italiano (la cui lapide fu proprio Profondo Rosso), proseguiva con il suo personalissimo percorso guidato da un viscerale amore per la messa in scena quanto da un’irrefrenabile necessità di esorcizzare la sua visione del (suo) mondo (borghese). Con 4 mosche di velluto grigio molti degli elementi che nei primi due titoli erano stati eclettismo vincente, diventano espressività dominante di un modo di concepire la realizzazione di un film al contempo come show e come rottura delle regole formali, farsa cupa quanto urlo di dolore personale.

Scena di 4 Mosche di Velluto Grigio, fonte: CG Entertainment

Lo Sapevi?

Il restauro 4K di 4 mosche di velluto grigio è stato effettuato dalla Fondazione Cineteca di Bologna, in collaborazione con Surf Film, a partire dal negativo camera originale techniscope e dal negativo suono italiano messi a disposizione da Reel One per conto di Surf Film. L’intervento di color correction è stato realizzato con la supervisione del DoP Luciano Tovoli. Le lavorazioni sono state effettuate presso il laboratorio L’Immagine Ritrovata nel 2020. Restauro realizzato con il contributo del Ministero per i Beni e le Attività Culturali e per il turismo. 4 mosche di velluto grigio torna nelle sale dal 14 luglio distribuito da CG Entertainment in collaborazione con Cat People.

Perché Argento parte dal cinema stesso, dalla suggestione, dal singolo sussulto, riversando il proprio vissuto fino a traslarlo e trasformarlo: ingrediente segreto – in questo caso, la rottura con la prima moglie Marisa Casale – invisibile, disciolto, sovvertito e infine trasformato in qualcosa di lontano dalla realtà quanto iconico sullo schermo. Un dolore muto e soffocato, fatto annegare in una tempesta di stimoli visivi e sonori. Sul fondo di 4 Mosche giacciono inquietudine e senso di solitudine, mentre tutto intorno esplode anarchicamente tutto l’immaginario dell’Argento di quel tempo, anticipando e preparando il terreno per quello che sarà Profondo Rosso pochi anni dopo: un cinema poliedrico dove l’intreccio giallo e il classicissimo whodunnit costituiscono i punti di sutura tra espressioni e generi tanto diversi quanto intrecciati, apparente distanti ma consonanti.

E così sia, un’insalata di pezzi di vetro: commedia talvolta macabra e talvolta pura, elementi psicoanalitici per direttissima, politica, rimbombanti momenti di purissimo montaggio e tutte quelle dissonanze narrative e visive che con la loro apparente scoordinazione si trasformano in uno spettacolo di stimoli, una danza per il cervello (senza contare i titoli di testa – a tutti gli effetti un cineconcerto – il sontuoso ralenti finale e quel Q.B. di fantascienza sfruttato per spingere l’ultimo atto). In tutto ciò, di quella incomunicabilità coniugale al fondamento sotterraneo di tutto, quasi non v’è traccia in superficie. Una sfrontatezza che rende Argento uno dei più grandi sabotatori delle meccaniche cinematografiche mentre, come solo i migliori autori, non usa il cinema ma si fa usare dal cinema e quindi, in un’epoca di veloci e rigorosi cambiamenti espressivi e tecnologici, pronto a far suo ogni nuovo mezzo.

Una scena di 4 Mosche di Velluto Grigio
Una scena di 4 Mosche di Velluto Grigio, fonte: GC Entertainment
Dichiarazione

Non m’interessava realizzare un giallo classico, il mio desiderio era quello di mescolare i generi, di provare a spingere un po’ piú in là la ricerca di un mio stile personale. Ogni elemento avrebbe dovuto suggerire un progressivo slittamento dal quotidiano verso l’onirico, dall’Italia verso il mondo. Intendevo scaricare addosso allo spettatore tutte le mie ossessioni: i sogni premonitori, le lettere minatorie, l’incomunicabilità fra marito e moglie, gli scherzi crudeli del destino e come nel Gatto – uno spunto che potesse stare a metà strada tra il fantastico e la scienza vera e propria“. – Dario Argento (Paura, a cura di Marco Peano, Einaudi, 2014)

Si sperimenta una proto-steadicam (tanto ingombrante da poter essere usata solo in esterno) e arcinoto è il finale realizzato con la Pentazet, una macchina da presa dell’Università di Lipsia utilizzata per lo studio della fusione dei metalli e usata da Argento a 12.000 fotogrammi al secondo (proiettando quindi fino a 500 volte più lentamente), ma ancor prima v’è, come sempre e ineluttabilmente, il montaggio. 4 mosche di velluto grigio è l’unico film di Argento non montato da Franco Fraticelli (comunque poi suo collaboratore di fiducia fino a Opera del 1987) che abbandonò il progetto dopo aver tentato di “dare una logica” al girato, scatenando le ire di Argento che riteneva che tutto l’aspetto onirico fosse andato perduto. Il lavoro passò alla premio Oscar© Françoise Bonnot, a quanto pare molto più abituata a seguire le indicazioni dei registi.

Ma, come sempre con Argento, non è una semplice questione di sfoggio cinematografico. Se inquadra come Antonioni e monta come Godard, come entrambi riesce a far brillare il suo giocattolo di tutto ciò che, dentro di lui, marcisce. Che si tratti di smarrimento e solitudine coniugale, di siparietti comici (di cui 4 mosche è ricchissimo e che in essi trova i suoi momenti migliori grazie a Bud Spencer, Oreste Lionello e Jean-Pierre Marielle) o del prestigio di una scena di suspense, l’Argento dei tempi è ancora affamato di umanità – ridicola e spaventata, minacciosa e maligna, angosciata e condannata – e capace di raccontarla con ogni battuta, ogni luce, ogni sguardo, scivolando via con lei. Rivisto oggi, 4 mosche di velluto grigio è tutto questo. Un portento del giallo del suo tempo quanto un’astrazione cinica. Una satira spigolosa e una malinconia lunare. L’intrattenimento puro e i nodi che non si possono sciogliere (ma segare brutalmente, questo sì).

Dichiarazione

Con questo film volevo raccontare la storia di una coppia, un marito e una moglie che vivono sotto lo stesso tetto ma che non sanno nulla l’uno dell’altro, ognuno di loro può avere dei segreti inconfessabili, tremendi. In questo film c’è sicuramente qualcosa di autobiografico ma l’ho talmente esasperato che si perde nella narrazione“. – Dario Argento (L’occhio che uccide, Fabio Maiello, Edizioni Scientifiche Italiane, 1996)

Poster di 4 Mosche di Velluto Grigio
Poster di 4 Mosche di Velluto Grigio, fonte: GC Entertainment

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