Una svolta clamorosa scuote l’inchiesta sul Mostro di Firenze, uno dei casi più misteriosi e inquietanti della cronaca italiana. A distanza di oltre 50 anni dal primo duplice omicidio della serie, avvenuto nel 1968 a Signa, la scienza riscrive la storia. Natalino, il bambino di sei anni e mezzo che riuscì a sopravvivere alla strage in cui persero la vita sua madre, Barbara Locci, e l’amante Antonio Lo Bianco, non era figlio biologico di Stefano Mele, l’uomo condannato per quel delitto.
Un test genetico voluto dalla procura e condotto dal genetista Ugo Ricci ha stabilito che il vero padre di Natalino era Giovanni Vinci, fratello maggiore di Francesco e Salvatore Vinci, già noti alle cronache per il loro coinvolgimento nell’inchiesta sul Mostro. Giovanni, però, non era mai stato sfiorato dalle indagini, né indicato come sospettato, ma ora si scopre che anche lui intratteneva una relazione con la Locci.
La notizia, riportata da La Nazione, aggiunge un nuovo e inquietante tassello alla complessa rete di relazioni e sospetti che circondano i delitti del Mostro di Firenze. Lo stesso Natalino, recentemente informato della verità, ha dichiarato con stupore: “Quest’uomo non l’ho mai neanche conosciuto”.
Un’indagine lunga decenni, tra misteri e nuove prove
L’intuizione investigativa che ha portato a questa scoperta risale al 2018, durante un’indagine poi archiviata che vedeva coinvolto l’ex legionario Giampiero Vigilanti. In quel contesto, i carabinieri del ROS prelevarono in segreto due profili genetici: uno appartenente a un figlio di Salvatore Vinci e l’altro a Natalino. Il primo permise di collegare Salvatore al possesso di uno straccio macchiato di sangue e polvere da sparo ritrovato dopo il delitto di Vicchio del 1984.
Per completare la comparazione, Ricci ha analizzato anche il DNA esumato di Francesco Vinci, creando così un quadro familiare genetico completo. Da lì, l’inaspettato risultato: Giovanni Vinci era il padre biologico del bambino. Un dato che pone nuove domande: l’assassino del 1968 sapeva della vera paternità? È un dettaglio che può aver influito nella decisione di risparmiare Natalino, mentre la madre e l’amante venivano freddati a colpi di calibro 22?
Un bambino risparmiato, una notte senza memoria
Il ruolo di Natalino resta uno dei grandi enigmi della storia del Mostro di Firenze. Quella notte del 1968, nonostante la ferocia dell’omicidio, il bambino fu risparmiato. Non solo: riuscì ad arrivare, da solo, a piedi, in piena notte e al buio, a una casa distante circa due chilometri, lungo una strada sterrata. Indossava ancora i calzini puliti, un dettaglio che alimenta il sospetto che qualcuno lo abbia aiutato.
Da sempre, gli inquirenti hanno faticato a spiegare come un bambino così piccolo potesse percorrere quella distanza, illeso e in condizioni tanto pulite, dopo aver assistito – forse – a un massacro. Che ruolo ebbero i Vinci in quella notte? E soprattutto: perché proprio Giovanni, unico fratello mai indagato, non fu mai coinvolto nelle indagini?
Nel processo seguito al primo delitto, Stefano Mele accusò i fratelli Vinci, amanti della moglie, ma finì condannato anche per calunnia. L’arma, una Beretta calibro 22, non fu mai ritrovata. Riapparve solo nel 1974, quando venne uccisa la seconda coppia della lunga serie di omicidi. Oggi, questo nuovo dettaglio genetico potrebbe aprire la strada a una rilettura completa di tutta la vicenda.
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