I 15 migliori biopic sui personaggi femminili: per gli amanti di figure complesse e non prevedibili

Nel corso degli anni l’interesse da parte del pubblico nei confronti delle figure femminili è aumentato notevolmente, grazie sopratutto alla centralità che quest’ultime hanno man mano acquisito nelle narrazioni cinematografiche. Questa curiosità si è incentrata, in particolar modo, sulle figure femminili realmente esistite. Tale fenomeno lo dobbiamo al biopic, un genere cinematografico molto popolare in cui vengono narrate le vicende di personaggi veramente vissuti. Registi e sceneggiatori si sono presi l’enorme responsabilità di raccontare la vita di queste donne lasciate in secondo piano, o del tutto ignorate dal grande ingranaggio della Storia. Ma alcuni cineasti non si sono limitati a raccontare didascalicamente le loro vicende.

C’è chi ha voluto sperimentare e portare un nuovo modo di narrare le vite di queste donne del passato. Dal mescolamento di più generi alla decostruzione della figura storica mostrando l’essere umano che si cela dietro di essa. Tali nuove forme di narrazione, ovviamente, non vanno a sminuire quelle pellicole che scelgono un racconto più classico e lineare dei fatti. In qualsiasi modo essi siano costruiti, i film di genere biopic hanno lo scopo comune di raccontarci le storie di queste figure femminili e ridargli il giusto posto nella memoria collettiva. In questa lista vi proponiamo quelli che, secondo noi, sono i migliori biopic sui personaggi femminili che di più sono riusciti a raccontarci di loro.

1. LA FAVORITA (2018)

Prima di Povere Creature, Yorgos Lanthimos aveva già esplorato il potere femminile con La Favorita, raccontando la storia della regina Anna Stuart di Gran Bretagna (Olivia Colman) e del suo rapporto morboso con le sue favorite: Sarah Churchill duchessa di Malborough (Rachel Weisz) e Abigail Hill baronessa di Masham (Emma Stone). Lanthimos, con quello che possiamo definire il miglior film del genere biopic, ci porta il ritratto di una sovrana fragilissima sia fisicamente che psichicamente e sopratutto debole di carattere. Infatti Anna, nonostante il ruolo che ricopre, non è autoritaria e tanto meno governa. Chi veramente controlla le sorti del Regno Unito è Lady Sarah che, grazie al ruolo di Favorita della regina, manipola quest’ultima facendole credere di non essere in grado di fare nulla e rendendola sessualmente dipendente da lei. Con l’arrivo improvviso della cugina Abigail e il suo obbiettivo di riscattarsi socialmente a qualsiasi costo, il regno di Sarah e la sua influenza sulla regina Anna vengono messi a repentaglio.

Da qui in poi partirà un gioco di potere tra Sarah e Abigail dove la corte è la scacchiera, gli uomini le pedine e il trofeo è il ruolo di unica Favorita della regina Anna; la vera vittima di tutta questa vicenda. Difatti, la malinconica regina non viene mai vista da nessuno come persona, ma come un burattino da controllare o un mezzo da cui ottenere favori. Le stesse Sarah e Abigail non si curano di lei in quanto essere umano, tanto da fare leva sulle sue debolezze e sulla sua dipendenza sessuale per il loro gioco. Olivia Colman riesce perfettamente a incarnare questa regina così fragile, devastata dalla perdita e desiderosa solamente di essere amata. Rachel Weisz fredda e cattivissima nel ruolo di Sarah, mentre Emma Stone porta un Abigail luciferina e maestra dell’inganno.

Yorgos Lanthimos con La Favorita sovverte gli stilemi del genere biopic, spogliando Anna, Sarah e Abigail della loro aura storica rappresentandole come persone umane con le loro contraddizioni, difetti e debolezze. Inoltre, attraverso la storia di queste tre donne e la sua firma grottesca diventata ormai iconica, il regista greco ci racconta del potere nella sua forma più subdola e della dipendenza sessuale come mezzo di controllo. Temi molto cari al regista, tant’è che li ritroveremo anche nel suo film più recente ovvero Kinds of Kindness.

2. MARIE ANTONIETTE (2006)

Maria Antonietta secondo Sofia Coppola. Un racconto in chiave pop sull’ultima regina di Francia, dal suo arrivo alla corte di Versailles fino alla sua cacciata da parte dei rivoluzionari. Una scelta non causale in quanto Coppola vuole concentrare completamente la narrazione sulla vita di corte di Maria Antonietta (qui interpretata da Kirsten Dunst), raffigurata come una gabbia dorata in cui la giovane regina viene relegata per matrimonio politico. Anche i saloni più grandi diventano piccole celle, sempre affollati da nobili e servitori dove Maria Antonietta è costantemente osservata. Una semplice colazione diventa uno spettacolo, dove ogni mossa o gesto è giudicato. Gli stessi vestiti tra corsetti, pizzi e merletti sono piccole gabbie soffocanti. Quella che per molti è stata considerata un esistenza invidiabile, fatta di cerimonie e balli, per Maria Antonietta divenne un fardello a cui non poté opporsi o tirarsi fuori.

Coppola racconta la storia agrodolce di una donna impreparata al ruolo impostole e insoddisfatta del suo matrimonio, trovando nello shopping sfrenato e il gioco d’azzardo la sua unica via di fuga. L’alba e il tramonto di una regina che, nella disperata ricerca di amore e approvazione, si circonda di cattive amicizie e parenti serpenti pronti ad usarla per il proprio tornaconto. Le scelte date dalla sua ingenuità e della sua mancata preparazione, non faranno che portare Maria Antonietta inesorabilmente al suo triste destino. Divenuto nel tempo un cult del genere biopic, Marie Antoniette di Sofia Coppola è un ritratto moderno e allo stesso tempo delicato di una sovrana incompresa e sofferente, lasciatasi abbindolare per rendere meno pesante la sua solitudine. Un lavoro molto simile a quello che fece Ryoko Ikeda con la sua Maria Antonietta in Lady Oscar – Le Rose di Versailles.

3. LA RAGAZZA DEL DIPINTO (2014)

La Ragazza del Dipinto è forse uno dei biopic più ingiustamente dimenticati, eppure il film di Amma Asante è di una potenza unica. La pellicola racconta la storia vera di Dido Elizabeth Belle Lindsay (Gugu Mbatha-Raw), una nobildonna inglese figlia di una schiava e di un ammiraglio della marina. Il padre la riconobbe e volle che venisse cresciuta come convenisse al rango che le apparteneva per nascita, affidandola allo zio paterno William Murray. Nonostante sia molto amata, Dido si sente fuori posto nella sua stessa famiglia, a causa di leggi che le ricordano costantemente di essere una persona inferiore per via del colore della pelle. Nemmeno la cospicua eredità lasciatele dal padre le permette di integrarsi nell’alta società inglese senza che il suo essere diversa non venga continuamente fatto pesare. Di ciò Dido ne soffre, tant’è che in un scena struggente vorrebbe strapparsi la pelle.

Asante, attraverso la storia di Dido, critica la crudeltà del razzismo e quanto sia una delle forme più spregevoli di odio; un’ideologia con il solo scopo di controllare chi è ritenuto diverso. Infatti, Dido comprende che non è lei il problema (non lo è mai stato), ma è la società che con le leggi discrimina e sminuisce una persona solo perché ritenuta inferiore. Una consapevolezza che avviene sopratutto grazie al suo rapporto con il signor Devinier (Sam Reid), un aspirante avvocato apprendista dello zio. Fin dal loro primo incontro non l’ha mai considerata come una persona disuguale a lui, ma come una sua pari. La storia di Dido mostra che l’amore vince su tutto, perfino sull’odio e l’ideologia. La Ragazza del Dipinto è sicuramente un film molto semplice, il biopic più canonico di questa lista. Tuttavia è proprio la sua semplicità ad essere il suo punto di forza, facendo della pellicola di Asante una perla del genere.

4. UNA GIUSTA CAUSA (2019)

Si torna a parlare di leggi con Una Giusta Causa di Mimi Leader, biopic incentrato sulla figura di Ruth Bader Gisburg (Felicity Jones) che fu una dei più importanti avvocati degli Stati Uniti, impegnata per i diritti civili delle donne. Laeder racconta il difficile cammino di Ruth per diventare avvocato e affermarsi come tale nell’America degli anni 50, un epoca dove sia uomini che donne erano incasellati in determinati ruoli prestabiliti, anche dalla legge stessa. Dopo un balzo temporale che ci porta agli anni 70, Ruth si affaccia in una nuova epoca dove le mentalità sono completamente cambiate e sta avvenendo un mutamento sociale importante. Ruth può finalmente fare quello che le era stato negato due decenni prima, essere l’artefice del cambiamento che possa portare alla parità di genere.

Il film di Leader, con la storia di Ruth, mostra quanto sia importante combattere per propri ideali, anche se questo richieda tempo e possa non portare subito al cambiamento. Infatti il percorso di Ruth non è senza ostacoli e in molti cercano di persuaderla a non perpetuare questa battaglia considerata persa in partenza, ma lei non si lascia abbattere. Ruth potrebbe non vincere oggi, ma sa che avrà comunque perpetuato una giusta causa che sarà utile nel domani. Qui la figura della figlia Jane (Cailee Spaeney) e il suo rapporto con Ruth diventano fondamentali, perché rappresentano il confronto generazionale e lo scorrere del tempo che porta al mutamento. Una Giusta Causa è sicuramente un film molto classico, ma senza mai risultare retorico o pesante nel veicolare il messaggio di fondo. Questo, insieme ad un cast molto convincente e una brillante scrittura, fa del film di Leader uno dei migliori biopic degli ultimi anni.

5. TONYA (2018)

Attenzione!

Seguono spoiler su Tonya.

Tonya Harding è forse una delle figure più controverse nella storia dello sport e Craig Gillespie ne racconta la vita in chiave tragicomica. Invece di utilizzare una struttura narrativa classica, lascia che siano i personaggi legati alla vicenda a narrarla, tramite la ricostruzione di vere interviste fatte a quest’ultimi. Il difficile compito di interpretare Tonya viene affidato a Margot Robbie (qui nella sua prova migliore) dove incarna una donna all’apparenza dura e scontrosa, ma fragilissima dentro. Fin da bambina subisce violenza e tutto quel dolore accumulato negli anni lo butta fuori nell’unica cosa che la fa stare bene, ossia il pattinaggio. Tonya trova nel pattinaggio l’unica casa dove non si sente trattata come una nullità e in cui è libera di esprimere se stessa. Allo stesso tempo quel mondo che Tonya tanto ama, non la vuole perché rappresenta quell’America che l’America stessa vuole nascondere: la famiglia disfunzionale, la violenza e la povertà.

Dopo il caso Nancy Kerrigan,che ha visto coinvolti due delle persone più vicine a lei, Tonya viene tradita da tutti: dalla madre perfida, dal marito inetto e al mondo dello sport che trova l’opportunità di cacciarla via. Quando il pattinaggio le viene tolto, una parte di Tonya è come se morisse. Non restandole altro che sopravvivere, Tonya trova nella box un nuovo modo per liberare il suo dolore e la sua rabbia, ritornando in quel ciclo di violenza che ha sempre conosciuto. Attraverso la storia di Tonya, Gillespie non si limita solo a fare un analisi sui rapporti umani disfunzionali; ma critica anche quell’altra faccia dello sport non meritocratico e propagandistico. Tonya non è solo un film, ma un rollercoaster emotivo che entra a gamba tesa tra i migliori biopic di sempre e dimostrando la grande capacità del genere di adattarsi in qualsiasi altro tipo cinematografico.

6. NICO 1988 (2017)

Pochi sono i biopic che concentrano la narrazione sulla vecchiaia dei loro protagonisti, Nico 1988 di Susanna Nicchiarelli è uno di questi. Christa Päffgen (Trine Dyrholm), in arte Nico, è una cantante eroinomane estremamente malinconica che vive passivamente la sua esistenza. Non ha affetti, solo colleghi e questo non fa che contribuire al suo isolamento. L’unica cosa che sembra darle uno scopo è la sua musica, dove esprime tutte le sue emozioni e il suo essere. Quando il suo manager Richard (John Gordon Sinclair) organizza un tour musicale per l’Europa, per Christa sia apre una nuova opportunità per trovare un senso alla sua vita. Il tour si trasforma per Christa in una lunga reminiscenza, dove il passato frammentato diventa un strumento per capire il presente e abbracciare il futuro.

Nico 1988 è un film in cui l’artista e i suoi bei vecchi tempi andati non vengono glorificarti, ma preferisce raccontare la persona dietro l’icona mostrandone il fragile lato umano. Attraverso il topos del viaggio, la Nicchiarelli racconta la rinascita di una donna e di una artista, infelice della sua vita e lasciatasi andare all’autodistruzione. Inoltre, lascia che sia la protagonista stessa a raccontare di sé, attraverso la sua musica e le interviste nel corso del tour. Nico 1988 è un biopic molto atipico, eppure è nella sua atipicità che lo rende una vera perla del genere. Inoltre meriterebbe più riconoscimento per aver portato una ventata di novità in un tipo cinematografico dove in pochi hanno il coraggio di sperimentare.

7. SPENCER (2022)

Quando sentiamo parlare di principi o principesse, pensiamo immediatamente a loro come i protagonisti delle favole che ci raccontavano da bambini. La favola di Pablo Larraìn sulla principessa Diana Spencer (Kristen Stewart) non è tanto diversa, se non nell’essere alquanto inquietante e a tratti orrorifico. Ma cosa c’entra questa pellicola con il genere biopic? Perchè lo è in un certo senso, semplicemente Larraìn ne sovverte le basi portando un nuovo modo di raccontare il personaggio storico. Infatti, invece di narrare canonicamente tutta la storia di Diana ,che francamente conosciamo a memoria; prende uno specifico momento della sua vita in cui il suo passato è indagato solamente attraverso i dialoghi e pochissimi flashback. Inoltre la sua protagonista viene raccontata in chiave profondamente umana, lasciando indietro il mito della principessa del popolo.

Il momento che Larraìn sceglie di raccontare è il Natale del 1991, in cui Diana prende la decisione di lasciare definitivamente Carlo e la famiglia reale, immaginando il come sia arrivata a pendere questa decisione molto importante. Il Natale, normalmente vista come una festività familiare e calorosa, qui è un evento freddo in cui “Tutto è organizzato come se è già successo”. I momenti di condivisione sono vissuti passivamente e la tradizione è seguita rigidamente come se fosse una regola di etichetta. Questo controllo maniacale degli eventi è dato dal disperato tentativo di mantenere una certa distanza con la gente comune.

Diana, nella sua genuinità d’animo, mette a repentaglio quest’ordine disertando le regole e la tradizione. Per questo motivo viene poco tollerata dalla famiglia reale e dallo stesso marito che non l’ama. Diana di questa situazione ne risente sia fisicamente che psichicamente, portandola a vagare per le campagne spettrali in cerca di un qualcosa o qualcuno che possa aiutarla a capire cosa deve fare per stare bene. Kristen Stuart interpreta meravigliosamente questa donna profondamente triste, con quella che possiamo definire la sua migliore performance in carriera. Larraìn, con il suo malinconico Spencer, ci da un nuovo modo di fare biopic dimostrando come questo genere possa rinnovarsi nel tempo.

8. MARIA (2025)

Larraìn ritorna nel genere biopic con Maria, in cui racconta gli ultimi giorni di vita di Maria Callas “la Divina”, la più grande cantante lirica di tutti i tempi. Anche qui il regista cileno risovverte il genere, portando un racconto non lineare intrecciando passato e presente, per narrare il tramonto di una diva intrappolata in un passato che non riesce a lasciare andare. Maria (Angelina Jolie) è ormai una donna malata e fragile, che vagabonda per le strade di Parigi cercando di capire se la sua vita abbia avuto un senso. Una condizione nata dalla perdita della sua voce, l’unica cosa a cui a dedicato completamente la sua vita. Questo non solo le provoca un grande dolore, ma anche la conseguente perdita di un pezzo di se stessa e della sua identità. In un certo senso è come se Maria ritornasse ad essere una ragazzina spaventata in cerca di rassicurazione. Qui il maggiordomo Ferruccio (Pierfrancesco Favino) e la cameriera Bruna (Alba Rohrwacher) non sono solo due personaggi di supporto, ma due figure genitoriali che vegliano su di lei e la proteggono da qualsiasi cosa possa turbare la sua fragile psiche.

Come in Spencer, anche questa pellicola si focalizza totalmente sulla figura femminile dietro la figura mitica. Maria viene ritratta come una donna ormai stanca, lasciando “La Divina” Callas in secondo piano come un ombra del passato; e la sua voce una lontana reminiscenza. Larraìn costruisce questo film come una tragedia in atti, portando una narrazione introspettiva in cui Maria si racconta e veniamo accompagnati dalle tracce musicali più famose di quest’ultima. Angelina Jolie non interpreta semplicemente Maria, ma lo diventa restituendo i suoi tormenti interiori attraverso un semplice e malinconico sguardo. Con questa pellicola Larraìn conclude il suo percorso nel genere biopic iniziato con Jackie, in cui queste figure storiche vengono spogliate della loro aura mitica e raccontate come persone.

9. MARY SHELLY – UN AMORE IMMORTALE (2018)

Si sente molto spesso parlare del mostro di Frankestein, ma di rado della sua creatrice: Mary Shelley. Il regista Hifaa Al-Mansour ne racconta la giovinezza e il percorso che ha portata alla nascita del suo capolavoro. Mary (Elle Fanning) è una ragazza intelligente e amante della letteratura, in particolare di storie di fantasmi tanto da scriverle lei stessa. Nella scrittura trova un mezzo per dare sfogo alla sua sfrenata fantasia e un modo di evadere dalla realtà, dove sta ancora cercando una via. Il padre William, capendo ciò, la manda da amici nella campagna scozzese sperando possa aiutarla in qualche modo. Qui avverrà il fatale incontro tra Mary e il poeta romantico Percy Bysshe Shelley (Douglas Booth) , nonché suo futuro marito. Tra di loro nascerà una storia d’amore conflittuale, che la porterà a intraprendere quel tanto desiderato cammino per la libertà e il suo posto nel mondo.

Al-Mansour fa della storia di Mary Shelley un brillante coming of age in chiave gotica e romantica, cambiando alcuni elementi tipici del genere biopic. Normalmente è l’artista in quanto tale e l’opera come obbiettivo da raggiungere, ad essere il cuore del film. Qui, invece, è la protagonista in quanto umana e il rapporto con il suo interesse amoroso ad essere il centro della narrazione. Mentre l’opera dell’artista viene posta a semplice mezzo per parlare dei personaggi e congiungerli; e incanalare il climax di tutto il racconto. Mary Shelley – Un amore immortale è un opera profondamente sentimentale, che restituisce lo spirito di una giovane sognatrice divenuta una donna disillusa. Elle Fanning dimostra ancora una volta il suo grande talento, calandosi perfettamente nella parte della nota scrittrice inglese.

10. IL CORSETTO DELL’IMPERATRICE (2022)

L’imperatrice Sissi è un personaggio storico talmente affascinante che nel corso del tempo è diventata quasi una figura mitica. Marie Kreutzer, ne il suo Il Corsetto dell’Imperatrice, distrugge quell’aura mitica raccontando la sovrana come un semplice essere umano. Sissi (Vickey Krieps) è una donna frenetica, insofferente del suo ruolo di imperatrice e di cui si disinteressa completamente. Nonostante le continue fughe tra viaggi e finte malattie, Sissi non può sottrarsi del tutto dai suoi doveri. Per lei essere imperatrice è una gabbia opprimente che le impedisce di essere completamente se stessa. Kreutzer rappresenta metaforicamente questa gabbia mediante il corsetto che indossa, sempre più stretto e soffocante. Tutto ciò causa in Sissi una malsana ossessione per la bellezza e la perfezione fisica, portando il suo corpo al limite.

Il Corsetto dell’Imperatrice di Kreutzer è un biopic profondamente malinconico, figlio della rivoluzione del genere portata da La Favorita di Lanthimos e della modernità di Marie Antoniette di Coppola. Lo stato malinconico della pellicola, che rispecchia totalmente la sua protagonista, viene percepito soprattutto dalle inquadrature spoglie e dai colori freddi e spenti. Il film, oltretutto, riesce sapientemente a immergere lo spettatore nella psiche di Sissi e farci empatizzare con lei. Un intento riuscitissimo sia nella scelta di raccontare Sissi durante la sua crisi di mezza età, il momento in cui più tutti percepisce di odiare la sua vita. Sia dall’interpretazione della talentuosa Vickey Krieps che, con la sua sola performance, regge completamente da sola l’intero film; e incarna perfettamente la malcontenta imperatrice, insoddisfatta di tutto e alla faticosa ricerca della sua libertà.

11. HARRIET (2020)

Prima di Wicked, Cynthia Erivo aveva già interpretato una donna che sfidò la gravità, o meglio un intera istituzione. Quella donna era Harriet Tubman, attivista per l’abolizione della schiavitù e spia durante la guerra civile americana. Siamo nella prima metà del 800 e Araminta Ross, detta Minty, decide di scappare dalla piantagione in cui è schiava per non essere venduta, stanca dell’oppressione. “O libera, o morta”, queste sono le parole che Minty pronuncia davanti i suoi aguzzini, prima di buttarsi nel fiume pur di non farsi catturare. Minty sopravvive e da quel momento in poi inizia il suo viaggio verso la libertà in cui acquisirà una nuova identità, quella di Harriet Tubman. Kasi Lemmons ricostruisce il lungo faticoso cammino di quest’ultima che richiama quello della figura biblica di Mose, a cui nel film Harriet viene associata. Una scelta non casuale in quanto la vera Tubman è conosciuta anche come la “Mosè degli Afroamericani”.

Harriet è un biopic canonico nella sua messa in scena eppure, nella sua semplicità, riesce a ridare la luce ad una eroina femminile ignorata per troppo tempo dalla Storia. Un film che non risparmia elementi crudi e intensi,rendendo lo spettatore completamente coinvolto nella vicenda, soprattutto emotivamente. Ciò avviene anche grazie alla bravura dell’intero cast perfettamente in parte, in cui a brillare più di tutti è proprio Cynthia Erivo. L’attrice non solo presta il suo volto, ma anche le sue doti canore facendo della sua Harriet una figura quasi iconica. La sua potente performance le valse la nomination all’Oscar per miglior attrice protagonista nel 2020. In conclusione Harriet è un film imperdibile non solo per chi ama il genere biopic, ma anche per gli appassionati di storia e di quelle figure lasciate nell’ombra.

12. FRIDA (2003)

Frida Khalo è una delle figure più affascinanti della storia dell’arte, che ha ispirato e continua ad ispirare intere generazioni. Nel 2002 Julie Taymor si prese l’enorme responsabilità di raccontare in un biopic l’esistenza travagliata dell’artista messicana. Frida (Salma Hayek) è una giovane donna esuberante, con tanta voglia di imparare e conoscere. La sua vita cambia drasticamente dopo un tragico incidente in autobus, che le lascerà delle ferite indelebili. Durante il periodo di convalescenza, Frida troverà nella pittura non solo un passatempo ma anche un punto di riferimento nei momenti più bui. Sarà la pittura stessa che farà avvicinare Frida a Diego Rivera (Alfred Molina), uno dei più importati pittori messicani. Il film di Taymor restituisce l’anima anticonformista della Khalo, indagandola non solo come artista ma anche come essere umano. Il ritratto di una donna libera che,nonostante le mille tragedie, mantiene il suo spirito combattivo, ribelle e vivace. Allo stesso tempo, la regista da il giusto spazio al rapporto di amore/odio e professionale tra Diego e Frida, restituita dalla buona chimica tra Molina e Hayek.

Frida è un’ opera che nonostante rispetti tutti gli stilemi classici del genere biopic, non esita a utilizzare forme di rappresentazione non convenzionali come metafore visive o forme di racconto. Per esempio i quadri di Frida non vengono solo mostrati, ma prendono vita diventando parte attiva della narrazione e un mezzo di espressione emotiva della protagonista. Frida è un film estremamente evocativo, colorato e brioso come la sua protagonista. Salma Hayek non interpreta Frida, ma lo diventa incarnando perfettamente il suo spirito ribelle e vivace. L’opera di Taymor è sia uno dei miglior biopic di sempre, sia un bellissimo omaggio all’iconica pittrice messicana.

13. COLETTE (2018)

Quando parliamo di personaggi storici dimenticati, non si può non citare Sidonie-Gabrielle Colette, una delle più importanti scrittrici della letteratura francese. Wash Westmoreland riprende la sua storia e la riporta alla luce con un biopic, incentrandosi in particolare negli anni di matrimonio con l’imprenditore letterario Henry Gauthier-Villars, in arte Willy. Il loro è un rapporto apparentemente molto affiatato, eppure l’unico della coppia ad amare veramente l’altro é Colette, mentre il vero unico amore di Willy è il denaro e la fama. Quest’ultimo non si fa troppi scrupoli nel utilizzare gli altri per guadagnare, fino alla stessa Colette a cui chiederà di scrivergli un romanzo basato sulla sua adolescenza per sanare i suoi debiti. Colette per amore accetterà e darà vita ad un opera che diventerà un vero e proprio fenomeno, ossia Clodine. Quella di Westmoreland è il racconto di una donna letteralmente intrappolata nell’ombra del marito, riconosciuta come musa e mai come autrice. Colette scrive e Willy se ne prende il merito, rubandole l’identità e il duro lavoro. La scrittura non diventa un atto liberatorio ma un tormento, la chiave di una gabbia creata da Willy e in cui Colette viene rinchiusa. Una condizione che quest’ultima accetta di vivere per ricevere amore e una libertà apparente.

Anche il biopic di Westmoreland non vuole essere un racconto focalizzato sull’artista, ma sulla donna dietro di essa posta in una condizione di oppressione, in cui la stessa cercherà una via di uscita. Un’emancipazione nei primi anni del 900, un’epoca in piena modernizzazione ma ancora radicalmente patriarcale. Colette è un film brillante, non solo per la sua ottima ricostruzione storica, ma anche per la sua solida scrittura. Infatti, Westmoreland si serve della storia di Colette per parlare di rapporti tossici, la ricerca della propria identità e della propria indipendenza; tematiche ancora oggi attualissime. Keira Knightley, ancora una volta, riconferma la sua grande versatilità come attrice vestendo i panni di Collette, portando una delle sue migliori performance della carriera.

14. ELIZABETH / ELIZABETH THE GOLDEN AGE (DILOGIA) (1998-2007)

Elisabetta I di Inghilterra, conosciuta anche come la Regina Vergine, è una delle figure storiche più complesse da adattare in un film. Shekar Kapur, tra il 1998 e il 2007, riesce in questa titanica impresa trasportando la vita della sovrana inglese in una dilogia cinematografica: Elizabeth e Elizabeth – The Golden Age. Il primo film si concentra sulla sua turbolenta ascesa al trono e l’enorme sforzo della giovane regina di far rinascere il suo regno dalle macerie delle guerre religiose. Elisabetta (Cate Blanchett) è una giovane donna passionale che, salita al trono, finisce in un gioco politico più grande lei e di cui è inesperta. Nonostante l’insicurezza iniziale, Elisabetta cerca in tutti modi nel dimostrare di essere in grado di regnare una grande nazione. Kapur dirige un sorta di coming of age dai tratti quasi horror, una scelta che da al regista il miglior modo per rappresentare il periodo di chaos e morte che Elisabetta deve superare.

Il secondo film ,invece, cambia completamente tono come l’Inghilterra cambia sotto la guida della Regina Vergine. Qui Elisabetta è ormai matura, sempre più determinata nel proteggere il suo popolo e regnare giustamente. Dal coming of age orrorifco, la storia di Elisabetta si trasforma in un thriller politico in cui dovrà scontrarsi non solo con il suo acerrimo nemico Filippo II di Spagna. Quest’ultima sarà anche costretta ad affrontare se stessa, ormai scissa in due identità distinte: l’Elisabetta persona e la divina Regina Vergine. La dilogia di Kapur è un opera magnifica su una sovrana raccontata sia come una figura mitica, che come un essere umano emotivo e fallibile. Elizabeth e Elizabeth The Golden Age sono diventati nel tempo due cult del genere biopic; un importante traguardo raggiunto anche grazie alla potente performance di Cate Blanchett, che ha reso la su Elisabetta indimenticabile e iconica.

15. MARIA REGINA DI SCOZIA (2019)

Elisabetta I di Inghilterra aveva una rivale e si chiamava Maria Stuarda, regina di Scozia. Josie Rourke ne racconta i tumultuosi anni di regno, ma soprattutto la sua amicizia/ inimicizia con la sovrana inglese. Il film le mette costantemente in paragone, mostrando come le due sovrane siano legate da un cammino molto simile che l’hanno portate ad un ruolo a cui non erano destinate e per cui devono lottare per mantenerlo. Allo stesso tempo, Rourke rimarca quanto le due siano diverse l’una a l’altra. Maria è impulsiva e vuole fare di testa sua per dimostrare che è in grado di governare benissimo da sola, portandola a prende delle decisioni senza valutarne le conseguenze. Elisabetta, invece, è più riflessiva e cerca di ascoltare le opinioni dei suoi consiglieri per intraprendere le scelte migliori, che possano giovare al suo regno. Inoltre le due sovrane si invidiano a vicenda, perché posseggono qualcosa che l’altra non ha. Maria vorrebbe lo stesso rispetto che Elisabetta ha da parte dei suoi sudditi; mentre Elisabetta vorrebbe essere bella e carismatica come Maria.

In Maria Regina di Scozia, Rourke mette in campo tutta la sua esperienza nel teatro, utilizzando una messa in scena minima ma funzionale al racconto. Non dimentica di esercitare il medium cinematografico, tanto da usufruire dei suoi strumenti per attuare il paragone tra Maria e Elisabetta. Ma il punto forte del film è sicuramente la scrittura dove la protagonista Maria, nonostante il continuo confronto con Elisabetta, non viene mai messa in ombra rimanendo la figura centrale dell’intero film. Saoirse Ronan e Margot Robbie si calano perfettamente nei panni delle due sovrane, portando il film completamente sulle loro spalle e restituendo brillantemente quel sentimento di amore e odio che le due regine provarono reciprocamente l’una per l’altra.

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