Lo dicono i dati della Fao. A pesare di più gli allevamenti nella pianura padana. Legambiente lancia la campagna “MetaNO – Coltiviamo un altro clima”
Stando ai dati della Fao, il 32% delle emissioni climalteranti dell’Italia sono riferibili al sistema del cibo, dalla produzione agricola alla trasformazione e distribuzione di alimenti, alla gestione degli scarti e degli sprechi alimentari. Una percentuale più alta del dato medio globale, considerando anche le emissioni che l’Italia “esternalizza” in Paesi terzi: si pensi alle deforestazioni tropicali da cui dipende la nostra importazione di materie prime mangimistiche e carni estere, lavorate in Italia e rivendute con il marchio di prestigiosi salumi Igp.
Il “peso climatico” dell’italian food si aggrava se si considera che i gas serra non sono tutti uguali: il settore agroalimentare è infatti primatista assoluto per le emissioni di metano. Ben il 63% delle emissioni di metano in Italia ha a che fare con la produzione di cibo e di rifiuti alimentari. Guardando all’origine di queste emissioni, ben il 70% di questo metano deriva dagli allevamenti, e si tratta di una emissione altamente concentrata nella pianura padana, associandosi dunque alle filiere delle più grandi Dop nazionali.
Purtroppo la riduzione delle emissioni di metano da fonte agroalimentare non trova spazio negli impegni climatici del nostro Paese: a riguardo non ci sono target significativi di riduzione delle emissioni nel Pniec (Piano nazionale integrato Energia e Clima) e non abbiamo ancora “toccato palla” nell’accordo globale sul metano siglato alla Cop di Glasgow (2021), il “Global Methane Pledge” che impegna l’Italia e altri 158 Paesi a ridurne le emissioni del 30% entro il 2030.
Su questi temi il 10 novembre Legambiente ha convocato esperti di nutrizione, di economia e di clima, insieme a operatori delle filiere agricole e alimentari, per un convegno, a Milano, nell’ambito della campagna “MetaNO – Coltiviamo un altro clima” che si sviluppa sotto l’egida della coalizione europea Methane Matters, che chiede il rispetto degli accordi internazionali sulla riduzione delle emissioni di metano.
Per l’Italia il tema della riduzione delle emissioni di metano ha una inevitabile ricaduta sugli allevamenti della pianura padana. L’elevata intensità di allevamento nelle regioni del Nord è sempre più fonte di criticità ambientali severe, legata ai gas inquinanti tradizionali, come l’ammoniaca che in inverno è il principale precursore delle polveri sottili, allo smog fotochimico estivo e all’inquinamento delle acque superficiali e delle falde a causa dell’eccesso di nutrienti che derivano dalle attività di spandimento di enormi quantità di effluenti d’allevamento.
“Non è possibile rispettare gli obiettivi di riduzione delle emissioni climalteranti senza affrontare la transizione nel sistema agricolo e alimentare,” dichiara Angelo Gentili, responsabile nazionale di Legambiente Agricoltura. “Si tratta di una sfida evolutiva del sistema produttivo che tiene insieme l’elevata reputazione dei prodotti alimentari Made in Italy con l’esigenza di una trasformazione della composizione dei consumi rendendola più sostenibile. È possibile ridurre produzione e consumi di carni e latticini preservando il reddito dei produttori, aumentandone il valore grazie a una accresciuta riconoscibilità del legame con il territorio, a partire dalle grandi Dop”.
“La riduzione degli impatti degli allevamenti può avvalersi di soluzioni di buona tecnica, come il miglioramento della nutrizione animale o la gestione dei liquami zootecnici nella produzione di metano – ha spiegato Barbara Meggetto, presidente di Legambiente Lombardia – Gli effetti di questi interventi saranno però insufficienti se non si agisce anche sulla riduzione dei capi allevati e su un equilibrio ragionevole tra numero di capi e territorio”.
Aumentano i mangimi nella dieta degli animali
Ad oggi si sta imponendo a livello globale una “dieta” degli animali sempre più dipendente da mangimi le cui componenti sono per lo più importate dall’estero: dalla soia Ogm sudamericana al mais dell’Europa orientale. Mangimi che, insieme a genetiche del bestiame sempre più spinte verso la elevata performance produttiva, permettono di produrre molto più di quanto il territorio sia in grado di sostenere. Si è scelta la quantità a scapito della distintività, e finora la scelta è stata vincente. Ma non è detto che lo sarà anche in futuro.
“Le crescenti preoccupazioni dei nutrizionisti per una dieta troppo sbilanciata su cibi di origine animale dovrebbero far propendere per una transizione che ne privilegi il consumo sempre più occasionale – ha dichiarato Damiano Di Simine, responsabile della campagna ‘MetaNO-coltiviamo un altro clima’ – I consumatori stanno già iniziando a ridurre i consumi di carni e formaggi, ed è prevedibile che questa tendenza continuerà negli anni, finendo per abbracciare le nuove indicazioni sulla dieta mediterranea stabilite dalla Società Italiana di Nutrizione, che prospettano un dimezzamento dei consumi di carni e formaggi. Per questo è auspicabile la direzione di un consumo più selettivo, che punti su prodotti che enfatizzino e certificano il legame con il territorio, invece che sulle produzioni standardizzate. In pratica, occorre produrre meno, ma meglio”.
Promuovere un allevamento più sostenibile
Va promosso un allevamento più sostenibile e rispettoso del benessere animale, che punti a valorizzare territori ed aree interne, anziché assecondare processi di concentrazione funzionali alla domanda di materie prime per l’industria, avvantaggiandosi così di approcci cooperativi e di integrazione di filiera per assicurare redditività aziendale e mettere in campo investimenti per la sostenibilità, in particolare nella gestione dei reflui. Serve inoltre un marketing e un modello di consumo che sia attento ai fabbisogni nutrizionali e che punti sulla qualità sensoriale ed esperienziale delle preziose produzioni lattiero-casearie del nostro Paese: questi sono elementi per una transizione che, nel ridurre le concentrazioni di capi e allevamenti, punti a migliorare ulteriormente il posizionamento dei prodotti della Dop economy italiana.
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