In Cile circa cinquemila ettari di nuove piantagioni sono pronti a entrare sul mercato globale generando un introiti pari a circa 40 milioni di dollari. La domanda sorge spontanea: perché in Italia, nonostante le superfici fertili, non produciamo quasi più pinoli?
di PAOLO MORI*
Immaginate di iniziare un viaggio partendo da un mortaio, basilico fresco, olio d’oliva e naturalmente pinoli. È così che si apre il nuovo video di InFor, l’Istituto Forestale del Cile: con la ricetta del pesto ligure, celebrando la bontà di questo ingrediente prezioso e l’interesse che suscita nel pubblico. Ma presto il racconto si allarga e ci porta lontano, verso il quadro internazionale della ricerca e della coltivazione del Pinus pinea, il pino domestico.
In nove minuti, il documentario ci guida lungo il filo che lega la tradizione gastronomica alla scienza e all’economia. Scopriamo come nel mondo si studia e si coltiva questa specie mediterranea, per poi atterrare in Cile, dove circa 5.000 ettari di nuove piantagioni sono pronti a entrare sul mercato globale.
Le voci dei protagonisti – ricercatori come Veronica Loewe Muñoz, autrice di studi pubblicati anche su Sherwood, produttori locali e commercianti – raccontano l’intera filiera: dalla selezione genetica alla gestione degli impianti, dalla raccolta alla vendita. E le prospettive sono entusiasmanti: la produzione di pinoli cilena potrebbe generare circa 40 milioni di dollari in pochi anni, portando nuove opportunità economiche alle aree rurali e posizionando il Cile tra i protagonisti di un mercato mondiale sempre più esigente.
E allora viene spontaneo chiedersi: in Italia, dove abbiamo vaste superfici di pino domestico, soprattutto lungo i litorali laziali e toscani, perché non produciamo quasi più pinoli? È un insormontabile problema di avversità biotiche a cui dobbiamo arrenderci oppure possiamo fare qualcosa?
*Compagnia delle Foreste
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