Quali sono i migliori film horror contemporanei? Ecco i capolavori di Eggers, Aster e Peele (ma c’è una sorpresa)

Oscurità, violenza e terrificanti creature. Questi sono gli elementi che ci vengono subito in mente quando pensiamo all’Horror. Un genere principalmente di intrattenimento, le cui pellicole hanno lo scopo di sconvolgere e incutere paura. Eppure l’horror non è solo questo, non lo è mai stato. Fin dagli albori, il cinema ha sempre cercato di essere sia arte che intrattenimento, ma sopratutto un mezzo di critica sociale. L’horror è stato quel genere cinematografico che più di tutti è riuscito a incanalare queste tre caratteristiche ed è, difatti, forse l’unico che ha saputo maggiormente raccontare la società e l’individuo. Le pellicole non si limitavano esclusivamente a terrorizzare il pubblico, bensì a stimolare una riflessione e a vedere oltre la superficie del racconto. I mostri e le atrocità che ci venivano mostrate non erano altro che, di fatto, allegorie usate dagli autori per mostrare le nefandezze e le paure più insiste nell’essere umano.

Successivamente nel corso degli anni, le pellicole horror subiscono una maggiore standardizzazione puntando prevalentemente ad un eccessivo sensazionalismo e al puro intrattenimento. La vena artistica viene messa completamente in secondo piano, cosi come una visione esplicativa della realtà portando narrazioni monotematiche e poco ispirate. Ciò ha comportato all’assuefazione del genere e alla sua completa sottovalutazione da parte dell’intero pubblico, mainstream e non. Tuttavia nell’ultimo decennio ci sono stati tre registi che hanno saputo dare nuova luce a questo vasto genere, in un certo senso rivoluzionandolo e lasciando un segno indelebile: Ari Aster, Robert Eggers e Jordan Peele. Con soli pochi film all’attivo, questi tre autori sono stati capaci di guardare la loro contemporaneità, portandone uno sguardo critico ed emblematico. Specialmente, ci hanno ricordato che l’horror (e il cinema tutto) può tornare ad essere arte, intrattenimento e critica sociale. In questa lista vi vogliamo proporre il miglior film di ognuno di questi tre registi. Quello che, secondo noi, è il loro capolavoro.

1. The Lighthouse


La psiche umana è forse il tema che più sta a cuore a Robert Eggers. Non c’è un film della sua filmografia che non ne esplori la fragilità o l’instabilità. Facendo ciò, il regista statunitense porta una rappresentazione dell’uomo come un essere corruttibile e manipolabile, ma soprattutto schiavo delle proprie pulsioni. Una visione iniziata con The Witch, ma protagonista assoluta in quello che possiamo definire il suo capolavoro: The Lighthouse. Ambientato alla fine del XIX secolo, Ephraim Winslow (Robert Pattinson) e Thomas Wake (Willem Dafoe) sono due marinai che rimangono bloccati nell’isola del faro a cui fanno da guardia. Inoltre strani e inquietanti eventi si abbattano nel luogo, allarmando specialmente il giovane Ephrain. Per riuscire a sopravvivere e rimanere lucidi, Winslow e Wake saranno costretti ad una convivenza forzata, nell’attesa che una nave venga a portarli via.

Eggers mette in scena un horror non convenzionale, dove miti e leggende del mondo marinaresco fanno da sfondo ad un racconto in cui il confine tra incubo e realtà diventa labile, quasi inesistente. È tutto vero ciò che stiamo vedendo? C’è davvero una presenza sovrannaturale e maligna che sta colpendo i nostri protagonisti? O stiamo assistendo semplicemente alle allucinazioni di due uomini in preda alla follia, mostrandosi in tutta la loro fragilità? Domande di cui non esistono risposte certe o assolute, ma è proprio questo il punto. Nonostante la presenza di un chiaro messaggio di critica contro il grande problema della mascolinità tossica, manifestato in tutto il suo orrore attraverso i due protagonisti; sta poi allo spettatore stesso trovare una personale interpretazione della pellicola. Eggers, infatti, insieme a suo fratello (nonché co-sceneggiatore); costruiscono una narrazione volutamente criptica in modo tale da rendere lo spettatore anche partecipante attivo del racconto. Un grande e complesso puzzle formato film, in cui sta a noi combinare i pezzi per trovare una possibile soluzione. Sicuramente una scelta insolita e molto coraggiosa, ma è per queste ragioni che possiamo considerare la pellicola di Eggers un vero capolavoro del genere Horror.

2. Midsommar – Il Villaggio dei Dannati


Se dovessimo descrivere la filmografia di Ari Aster con una sola parola, sarebbe questa: follia. Già, perchè solamente un folle sarebbe in grado di raccontare in maniera cosi cruda e macabra la tossicità dei rapporti umani. Infatti, per Aster il vero orrore non si cela nei mostri o nel paranormale, bensì nelle relazioni disfunzionali e delle conseguenze che queste comportano alla persona. In Hereditary – le radici del male ci aveva appena dato un assaggio di questa sua idea contorta che in Midsommar – Il Villaggio dei Dannati raggiunge l’apice, facendone il suo capolavoro. Dai rapporti interpersonali di una famiglia spezzata da un profondo lutto, Aster sposta la sua attenzione alle dinamiche tossiche di gruppo attraverso il racconto di una vacanza tra amici in una antica comunità isolata della Svezia rurale. Qui Dani (la nostra protagonista interpretata da Florence Pugh), sotto consiglio del fidanzato Christian (Jack Reynor), cerca di riprendersi dopo la morte dei suoi genitori per mano della sorella bipolare. Se all’apparenza sembra un villaggio tranquillo in cui gli abitanti sono innocui e accoglienti, specialmente nei confronti di Dani, dietro si nasconde un luogo orribile segnato da rituali inquietanti e un piano malefico per celebrare il solstizio d’estate.

Aster si serve del classico stilema del sanguinario culto religioso per decostruire il concetto stesso di comunità e parlare di malattia mentale. Il primo tema ci è chiaro fin da subito, grazie alla messa in scena della quotidianità del villaggio. Tra gli abitanti non esiste nessuna privacy, vivendo morbosamente dipendenti l’uno dall’altro e controllando costantemente ogni particolare della loro esistenza. Un aspetto accentuato specialmente dalla scelta di ambientare la storia in luogo in cui è sempre giorno, lasciando che sia la luce stessa a mettere in piena vista il marcio di questa comunità e i loro orrori. Un elemento quasi meta cinematografico, poiché la luce è l’elemento fondante del cinema grazie alla quale possiamo vedere le immagini in movimento. Gli abitanti del villaggio stessi si atteggiano come dei veri attori in scena, indossando la maschera di innocui e premurosi campagnoli per manipolare le persone esterne al loro ambiente, specialmente le più fragili psicologicamente. Un atto ignobile, tipico dei culti religiosi ed è qui che entra in scena il secondo tema più importante del film.

La malattia mentale è una condizione molto diffusa nella nostra società eppure, ancora oggi, viene costantemente sminuita. Midsommar – Il Villaggio dei Dannati, infatti, è una grande metafora di come essa sia percepita dalle persone e negativamente trattata. Ciò che Aster sta cercando dirci, è che dobbiamo iniziare ad essere più consapevoli di questa problematica anziché ignorarla. Fare in modo che chi sta male possa facilmente chiedere e ricevere aiuto, invece di lascarli da soli in balia di loro stessi o di persone pronte ad approfittarsene.

3. Noi


Immaginate di essere a casa vostra, pronti a passare una bella serata con la vostra famiglia. All’improvviso trovate davanti al vostro portico un gruppo di persone che vi sta inquietantemente fissando. Vi attaccano, riuscendo a fare irruzione nell’abitazione e ciò che realizzate vi lascia pietrificati dallo sconcerto. Gli estranei che vi hanno assalito siete proprio voi, o meglio il vostro doppelganger. Uno scenario terrificante, nonché incipit di una pellicola folle quanto angosciante, nata dalla mente geniale di Jordan Peele: Noi. Dopo il grande successo di Scappa – Get Out, il regista statunitense ritorna a parlare del più grande cancro della nostra società ossia l’odio, che crea mostri ben peggiori di quelli dei racconti dell’orrore. Non è un caso, infatti, che in Noi sia la copia dell’uomo stesso ad essere la creatura maligna che semina chaos e distruzione. Un modo molto diretto di Peele per dirci che l’essere umano è la sola causa del suo stesso male.

Noi è, appunto, una critica spietata alla società contemporanea ormai profondamente materialista e inetta. Attraverso questa storia, il regista ci ricorda quanto siamo incapaci di convivere e di condividere, seguendo prevalentemente il nostro smisurato ego sottomettendo gli altri per salvaguardare solamente noi stessi. Di conseguenza proseguiamo la nostra esistenza in un ciclo infinito di violenza e brutalità, che continua a massacrare il nostro mondo pezzo dopo pezzo. Il doppelganger è, difatti, l’elemento narrativo che rappresenta metaforicamente queste conseguenze e dove potrebbero condurci in futuro. Queste sono le ragioni che rendono Noi il capolavoro di Peele, perché è la pellicola che più di tutte riflette la sua idea di cinema come mezzo di denuncia sociale. Il film infatti non è un semplice horror, bensì un quadro terrificante sullo stato attuale della nostra contemporaneità, la quale ci ricorda a cosa andremo in contro se continueremo ad odiarci invece di unirci per il bene di tutti gli esseri umani.

4. Opus – Venera la tua stella


A questo punto vi starete chiedendo perché abbiamo inserito una pellicola in più che non sia dei tre autori sopra menzionati. Ebbene, abbiamo deciso di aggiungere in questa classifica quello che, secondo noi, è il miglior horror dell’anno. Un opera prima di un autore che ha dimostrato di avere tutte le qualità per eguagliare il trio dell’horror contemporaneo. Il film di cui stiamo parlando è Opus – Venera la tua Stella di Mark Anthony Green, uscito nelle nostre sale cinematografiche il 27 Marzo 2025. Il regista mette in scena un racconto grottesco, portando uno sguardo profondamente pessimista della nostra società contemporanea ormai superficiale e assuefatta dalla fama. Ovviamente il film non critica la fama in se, bensì ne contesta l’utilizzo negativo specialmente nell’era dei social media. Difatti, essa è solamente un mezzo con cui l’individuo ottiene riconoscimento dalla massa e il potere di fare quello che vuole, senza riconoscere nessuna responsabilità morale. Green incarna questo concetto nella figura del divo(la massima espressione della fama), rappresentandolo come un essere narcisista e manipolatore. L’orrore che il regista ci vuole mostrare, infatti, è la capacita di un singolo individuo di avere un potere tale da controllare facilmente la massa e fargli credere ciò che vuole. Ciò che fa ancora più paura è la totale passività dei soggetti condizionati, che pendono (letteralmente) dalle labbra del divo/manipolatore.

Sicuramente Opus – Venera la tua stella non è un capolavoro e ha tutti i difetti tipici di un opera prima. Tuttavia, possiamo definirlo un grande horror per la sua forte scrittura e la sua chiara visione di una contemporaneità al collasso a causa dell’essere umano. Infatti, nel film è solamente l’uomo che compie nefandezze indicibili in preda alla megalomania e in nome dell’amato idolo. Green sposa lo stesso punto di vista del trio dell’horror del contemporaneo, la quale vede l’uomo come il vero e unico mostro del racconto. Inoltre, il regista ci mette in guardia dai social media che, oggi più che mai, sono diventati il mezzo più efficace di manipolazione di massa.

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