
Sono ctenofori, organismi trasparenti e dalla consistenza gelatinosa, arrivati con il traffico navale e l’aumento delle temperature. Non sono urticanti ma intasano le reti dei pescatori mettono a serio rischio la crescita dei pesci ossei nella zona
Nelle acque della laguna di Venezia, un’esplosione di ctenofori sta smuovendo la preoccupazione di cittadini e pescatori. A spiegare il fenomeno è stata l’università di Padova, con uno studio in collaborazione con l’istituto Nazionale di Oceanografia e Geofisica Sperimentale di Trieste, pubblicato sulla rivista internazionale Hydrobiologia. La recente massiccia invasione nella Laguna di Venezia da parte dello ctenoforo Mnemiopsis leidyi, una specie nota come noce di mare, la cui esplosione è iniziata nel 2014, è connessa all’aumento della temperatura delle acque.
Gli ctenofori sono organismi trasparenti, come meduse, che però hanno bande di ciglia mobili in diverse parti del corpo, utilizzate per la cattura dello zooplancton, di cui si nutrono, e per il movimento. Un aspetto interessante è che a differenza delle meduse, gli ctenofori non possiedono cellule urticanti, quindi non pungono, né costituiscono un pericolo per le persone che dovessero incontrarli in acqua o a riva.
L’aumento incontrollato della popolazione, però, può avere un impatto negativo sulla consistenza delle popolazioni ittiche, in quanto si alimentano dello zooplancton di cui si nutrono anche gli stadi larvali dei pesci ossei. Inoltre, per la consistenza gelatinosa, intasano completamente le reti dei pescatori, producendo quindi un problema serio per il commercio ittico dell’area.
La Laguna di Venezia è un ambiente in forte cambiamento, soggetto a un intenso traffico navale (tipico vettore d’introduzione di specie aliene) e numerose altre attività umane ed è quindi particolarmente colpita dalle specie invasive.
Come sottolinea Ispra in una nota di approfondimento, gli individui che in questi giorni affollano la laguna sono adulti di Mnemiopsis leidyi, specie originaria delle acque marine costiere e di estuario dell’Atlantico occidentale che nell’ultimo trentennio si è diffusa, grazie alle acque di zavorra delle petroliere e di altre grosse navi, nel mar Nero e da lì al Caspio (grazie ai fiumi e ai canali navigabili che collegano i due mari) e in diversi punti del Mediterraneo (tra cui il Golfo di Trieste) e in tempi più recenti pure nel mare del Nord e nel Baltico. In alcuni casi la diffusione della specie potrebbe però essere dovuta a trasporto tramite correnti marine.
Sebbene M. leidyi del Mar Nero sia stata localmente introdotta con le acque di zavorra di navi provenienti dalle coste atlantiche del Nord America (come dimostrato da analisi genetiche di esemplari della specie prelevati nei vari mari europei, che ne hanno evidenziato l’omogeneità e individuato l’area di probabile origine), dove la presenza della specie venne per la prima volta riconosciuta nel 1982, la popolazione locale si diffuse progressivamente negli anni successivi, aumentando anche in termini di densità, fino a che nel biennio 1989‐1990 si osservò un concomitante forte calo nella biomassa e nelle catture di alici, che costituivano la principale risorsa di pesca dell’intero bacino.
Pertanto la presenza di notevoli aggregati di M. leidyi in laguna di Venezia non è certamente una buona notizia per le popolazioni ittiche che vi trascorrono tutto o parte del loro ciclo vitale.