
Il racconto di quattro giorni di trekking tra la pianura cuneese e la Francia, sulle trecce degli scritti di Nuto Revelli e Beppe Fenoglio. Protagonista il circolo legambientino di Piove di Sacco
di DONATELLA MONETTI
Sono stati quattro giorni intensi quelli che tra il 25 e il 28 aprile hanno vissuto numerosi partecipanti di Legambiente di Piove di Sacco (Pd) nella Valle Stura, ponte e anello di unione tra la pianura cuneese e la Francia, sulle tracce del Mondo dei Vinti di Nuto Revelli e nelle Langhe di Beppe Fenoglio.
L’escursione del 25 aprile ha avuto come obiettivo la conoscenza della riserva naturale delle grotte di Aisone, istituita dalla Regione Piemonte nel 2019 per tutelare il sistema di grotte a monte dell’abitato. Si tratta di formazioni geologiche poco profonde, ma che costituiscono la testimonianza più antica della presenza umana nella Valle Stura.
Il 26 aprile, da Gorrè di Rittana si è camminato fino alla borgata partigiana di Paraloup, per ripercorrere i luoghi dello scrittore partigiano Nuto Revelli e per conoscere alcuni membri dell’omonima fondazione. Qui c’è stato un incontro significativo con il politologo e giornalista Marco Revelli, figlio di Nuto, che nel commemorare la giornata della Liberazione, ha ricordato le ferme parole di suo padre: “No al Fascismo, no alla guerra!”. Infatti, nonostante fosse partito volontario per il fronte russo nel 1942 a soli 23 anni, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, Nuto rinnegò tutto: il duce, il re e persino la patria. “Sul Don”, ha ribadito Marco, “mio padre aveva capito la catastrofe della ritirata, gli scarponi di carta, i comandanti che scappavano, l’ordine di abbandonare i feriti e i congelati, i 40 gradi sotto zero, le armi che non sparavano, i tedeschi che passavano con i cingolati sopra le colonne italiane. E, una volta ritornato in Italia, dopo che i fascisti entrarono a Cuneo il 12 settembre del 1943, morto l’ufficiale alpino Revelli, nacque il partigiano Revelli. Egli costituì, allora, una formazione partigiana che chiamò Compagnia Rivendicazione Caduti, in nome dei tantissimi soldati morti in Russia, e nel febbraio del 1944 salì a Paraloup e si unì alle formazioni di Giustizia e libertà”.
Anche la visita al Museo della Guerra e della Resistenza di Valloriate, gentilmente guidata dal sindaco Gianluca Monaco, ha contribuito ad approfondire le conoscenze storiche di queste vallate durante il periodo del fascismo e della seconda guerra mondiale. La presenza all’interno del museo di interessanti reperti bellici e non solo, ha permesso, infatti, di rivivere un passato che non dobbiamo dimenticare, al contrario lasciare a perenne memoria per le future generazioni.
Ma il trekking in questi luoghi è stata l’occasione anche per comprendere meglio ciò che Nuto Revelli e Beppe Fenoglio hanno scritto rispettivamente ne Il mondo dei Vinti e nel romanzo La Malora, dando voce alle misere condizioni di vita dei contadini delle Langhe, emblema queste ultime della lotta dell’uomo per sovvertire un destino di sventura. In questo territorio collinoso, il mondo rurale del dopoguerra presentava una situazione così misera da poter essere accostata a quella della campagna siciliana descritta da Verga nella seconda metà dell’800, a causa della scarsa produttività e dell’eccessiva parcellizzazione dei fondi: chi possedeva terreni riusciva con grande difficoltà a soddisfare le proprie esigenze materiali, e chi non ne possedeva doveva emigrare o andare sotto padrone.
Per immergersi ulteriormente in questa realtà, il sindaco di Valloriate ci ha invitati alla visione del film di Andrea Fenoglio e Diego Mometti Il popolo che manca, tratto dall’omonimo libro di Nuto Revelli, in cui le testimonianze di contadini e montanari di queste valli intrecciano le loro storie e vite a quelle dei loro discendenti. Il documentario ha sottolineato non solo il cambiamento del paesaggio, dalle borgate montane all’avvento di un nuovo mondo di fabbriche e di capannoni industriali inseriti senza cura nel paesaggio rurale, creati in seguito all’emigrazione di massa nel dopoguerra, ma anche il drammatico inquinamento industriale dovuto alle cave e ai cementifici.
È quanto accaduto lungo il fiume Bormida dove, afferma Nuto, “la nebbia si impastava con il veleno”. “L’abbandono della montagna e delle alte colline” ribadisce Revelli “ha avuto conseguenze che si possono leggere nel paesaggio da segni diversi e in più parte contradditori. Più forti, drammatici, quelli dell’alluvione del novembre 1994. Da anni ci ripetiamo sulle cause delle alluvioni. Senza l’uomo che accudisce, la montagna diventa un deserto, l’erosione fa disastri. I vecchi erano analfabeti ma specialisti della manutenzione; curavano i corsi d’acqua, ne pulivano i letti, costruivano muri di pietre: boschi e pascoli erano garanzie di tenuta del suolo. C’è una responsabilità politica dell’alluvione: sta nella scelta deliberata dell’abbandono della montagna. Il danno è stato aggravato dalle opere artificiali, cominciando da quelle dell’Enel che hanno alterato il regime delle acque. Troppi ruscelli canalizzati e troppo asfalto che fa aumentare la velocità del deflusso, troppe costruzioni sugli argini. Abbiamo ammazzato la montagna e ora non ci resta che il mondo dei vinti”.
C’è una responsabilità politica dell’alluvione: sta nella scelta deliberata dell’abbandono della montagna
– Mauro Revelli
Il nostro viaggio è ripreso sabato 27 aprile con la visita all’ex Forte Albertino di Vinadio, uno degli esempi di architettura militare più significativi dell’intero arco alpino e nel pomeriggio si è fatta una tappa presso l’azienda agricola Fiori dei Monti, a conduzione famigliare, di Andrea Colombero, dove molti hanno potuto acquistare il suo ottimo formaggio, Castelmagro. Le stalle di Andrea, abbiamo appreso con interesse, ospitano non solo mucche che all’inizio dell’estate praticano la transumanza migrando nei vicini pascoli francesi, ma sono anche luoghi adibiti ad accogliere particolari eventi come cene e proiezioni di film. La serata si è conclusa all’insegna della musica e delle danze occitane che hanno spinto molti di Legambiente a scendere in pista e a cimentarsi in balli popolari assieme ad alcuni abitanti di Valloriate.
Il trekking dell’ultimo giorno ci ha condotti, infine, a San Benedetto Belbo, Comune che ha onorato lo scrittore Beppe Fenoglio con un sistema di percorsi, un allestimento di siti intitolato “Camminando con Fenoglio” e uno spazio specifico all’interno del centro storico, in riconoscenza allo scrittore che ha ambientato alcuni dei suoi capolavori proprio in questo paese delle Langhe. Tra i luoghi letterari fenogliani di San Benedetto Belbo, ricordiamo la panca in pietra e i due maestosi ippocastani sotto i quali lo scrittore amava sostare in contemplazione del Passo della Bossola, attendendo il passaggio della corriera dalla sua natia Alba, la Censa di Placido e il Cimitero divenuto famoso per l’incipit della Malora: “Pioveva su tutte le langhe, lassù a San Benedetto mio padre si pigliava la sua prima acqua sottoterra”.
Lungo il percorso numerose sono anche le informazioni relative alle bellezze ambientali ed architettoniche che questo territorio offre, oltre a notizie sulla sua identità culturale e indicazioni cartografiche per orientarsi. Il viaggio di Legambiente si è concluso con una breve visita proprio ad Alba a coronamento di un percorso non solo naturalistico ma anche storico e letterario estremamente affascinante e arricchente per tutti. Un ringraziamento in particolare va alle nostre guide naturalistiche Riccardo e Alberto, che ci hanno accompagnato in questi giorni di sole, di pioggia, di neve e anche di nebbia e, soprattutto, a Maurizio Savioli, presidente del circolo di Legambiente Aps di Piove di Sacco, per aver reso possibile tutto questo.