È in atto un attacco alle rinnovabili che vede in prima fila l’energia solare21
di CECILIA BERGAMASCO*
Abituati a viaggiare sulle montagne russe e anche alla corsa ad ostacoli ancora ci mancava (e ne avremmo fatto volentieri a meno) la sensazione di essere stretti in una morsa. Stiamo arginando l’ennesimo attacco al fotovoltaico, ne abbiamo vissuti molti, ma questo ha effetti potenzialmente gravissimi. I riflettori sono accesi sul presunto e discutibile impatto del fotovoltaico sull’agricoltura e sul paesaggio, mentre la sua funzione come tecnologia essenziale per assicurare l’energia a costi bassi e stabili a famiglie e imprese resta completamente nell’ombra.
In prima battuta è arrivato il decreto legge agricoltura, che prevede un blocco generalizzato degli impianti a terra – quelli che permettono di abbassare i costi dell’energia, perché più economici – in aree classificate genericamente agricole, senza contare che tra queste ci sono aree di scarsissimo pregio per le coltivazioni. Gli operatori non hanno alcuna intenzione di sottrarre aree utili alle coltivazioni, ma chiedono ormai da anni che si governi il sistema con un’ordinata diffusione del fotovoltaico, indicando dove si può realizzare e con quali modalità.
Ed ecco che viene sferrato il secondo attacco: il decreto aree idonee, che giunge con oltre due anni di ritardo, è di fatto un testo del tutto inutile perché il legislatore ha deciso di non decidere: tutto viene demandato alle singole Regioni. Il rischio ora è che ci si troverà in una giungla normativa, dove ogni Regione definisce e applica i suoi criteri per individuare le aree idonee. Comprendiamo bene le posizioni di alcune Regioni che, a fronte di uno spropositato numero di richieste di connessione (che non vuol dire assolutamente impianti autorizzati) hanno deciso di fermarsi, fare il punto e definire dei criteri. Italia Solare ha già segnalato al Parlamento, nel corso dell’audizione sul DL agricoltura, che sono numeri irrealistici, che suggeriscono la necessità di adottare filtri e criteri di accesso e selezione più stringenti. A fine marzo, avevamo 336 GW di richieste di connessione all’alta tensione, riferite comunque a tutte le rinnovabili compreso l’eolico offshore: il 68% di queste richieste sono solo in Sicilia, Puglia e Sardegna, il che rende ancora più evidente che si tratta di numeri poco plausibili in termini di impianti che vedranno il termine dei lavori.
Trovare una via di uscita da questa morsa è possibile, pensiamo che il processo regionale si possa sviluppare evitando ogni blocco del settore, questo significa consentire la costruzione degli impianti già autorizzati, di potenza complessivamente contenuta, sia a livello nazionale sia di singole regioni. Per quanto riguarda i progetti non ancora autorizzati, questi dovranno essere valutati sulla base di prestabiliti e trasparenti criteri di priorità che tengano in considerazione la necessità di ridurre il prezzo dell’energia con tecnologie fin da subito disponibili e che consentano anche di raggiungere gli obiettivi di sviluppo delle rinnovabili definiti dal PNIEC. Deve essere chiaro che è necessario fare presto per chiudere la partita delle aree idonee cui seguirà immediatamente, ricordiamolo, quella delle aree necessarie per gli obiettivi 2030 e delle aree di accelerazione, previste dalla nuova direttiva sulle rinnovabili per la cui attuazione il Governo ha chiesto delega al Parlamento. Chiediamo quindi, in primo luogo, che Governo e Regioni tengano conto del contesto europeo che stabilisce che le fonti rinnovabili vanno considerate di interesse pubblico prevalente.
* Giornalista scientifica
Questo articolo è tratto dal numero di giugno-luglio 2024 di QualEnergia
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