Fronte del porto

Il terminal Sech del porto di Genova a Calata Sanità

Le emissioni inquinanti nelle principali città portuali sono una realtà spesso sottovalutata

di VIOLA PAVONCELLO* e LAURA TOMASSETTI**

Le coste italiane, vitali per il nostro Paese, sono costantemente esposte alle emissioni provenienti dalle attività portuali. Pensate al movimentato traffico navale, al frenetico carico e scarico delle merci, al continuo via vai dei veicoli per le attività portuali, per lo sbarco e l’imbarco dei croceristi: tutte queste operazioni generano una quantità significativa di inquinanti pericolosi ed hanno un impatto sull’ambiente e sulla salute pubblica.

Fortunatamente, l’attenzione verso questa problematica sta aumentando a livello internazionale. L’Agenda Europea e l’Organizzazione Marittima Internazionale (IMO) di Londra a partire dal 2022 hanno unito le forze per promuovere un programma di controllo delle emissioni nel Mar Mediterraneo, noto come Mediterranean Emission Control Area, MedECa. Si tratta di un passo importante verso la salvaguardia delle aree costiere e della popolazione che le abita.

Data la posizione geografica strategica dell’Italia, la densità dei suoi porti (33 porti organizzati in 15 autorità di sistema portuale) e la densità della popolazione – circa cinque milioni di persone vivono nelle 33 città portuali, di cui un terzo della popolazione italiana residente entro i 5 km dalle coste – il problema delle emissioni marittime assume un ruolo cruciale per le questioni sanitarie e ambientali.

Le fonti di inquinamento atmosferico nei porti italiani sono molteplici, dalle navi agli autocarri, dalle gru alle locomotive ferroviarie impegnate nelle diverse attività portuali e logistiche. Questo si traduce nell’emissione di un cocktail di sostanze dannose come il particolato (PM), gli ossidi di azoto (NOx), gli ossidi di zolfo (SOx) e monossido di carbonio, e sostanze tossiche come il vanadio, il nickel, il black carbon (BC) e gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA). Dal punto di vista della salute umana, queste emissioni possono provocare e aggravare problemi respiratori e cardiovascolari, aumentando il rischio di malattie polmonari croniche, asma, bronchite, enfisema e malattie cardiache. Inoltre, alcune di queste sostanze tossiche sono classificate come cancerogene (come per esempio BC e IPA) e possono causare danni irreversibili all’apparato respiratorio e al sistema cardiovascolare. Per quanto riguarda l’ambiente, le emissioni portuali contribuiscono all’inquinamento atmosferico, causando danni agli ecosistemi terrestri e marini. Il particolato atmosferico può depositarsi sui suoli e nelle acque, compromettendo la qualità dell’aria, del suolo e delle fonti idriche, danneggiando la flora e la fauna locali. Gli ossidi di azoto e di zolfo possono provocare l’acidificazione del suolo e delle acque, compromettendo la salute degli organismi viventi, animali e vegetali.

Per comprendere l’impatto del traffico portuale sulle emissioni, bisogna anche analizzare i dati relativi al volume del traffico passeggeri e merci. Negli ultimi anni infatti, il numero di passeggeri che ha viaggiato attraverso i porti italiani è aumentato, così come il volume delle merci trasportate via mare. Dopo le restrizioni globali del 2020 dovute alla pandemia di Covid-19, il traffico merci ha mostrato una ripresa costante, con Genova e Napoli fra i porti più rilevanti nel movimentare più di 10 milioni di tonnellate di merci, mentre il settore crocieristico ha affrontato maggiori difficoltà. Nonostante ciò, in Italia, il traffico delle navi da crociera rimane un settore significativo, con quattro dei dieci principali porti del Mediterraneo in termini di passeggeri e scali portuali. Al 2017, i porti crocieristici italiani più importanti erano Roma Civitavecchia e Venezia, con rispettivamente 1,4 e 2,2 milioni di passeggeri raddoppiati e aumentati del 60% dal 2006 al 2017. Seguono i porti di Napoli e Genova. Escluso Napoli, dal 2010 al 2019, il traffico crocieristico è aumentato in tutti i porti considerati. Le percentuali maggiori al 2019 sono state registrate nei porti di Catania, Messina e Milazzo, Roma Civitavecchia e Venezia. Nelle città portuali di Roma Civitavecchia e Venezia, il contributo delle navi da crociera all’emissione di NOx, e soprattutto ossidi di zolfo (SOx), è stimato essere maggiore di quello di tutte le autovetture locali. Anche il traffico di passeggeri locali e traghetti, rimasto dominante per i porti di Bari, Genova, Palermo e Termini Marese fra il 2010 e il 2019, contribuisce in modo significativo alle emissioni portuali complessive delle città portuali menzionate.

L’aumento del traffico portuale comporta inevitabilmente una serie di sfide ambientali e sanitarie, soprattutto nelle città portuali. La vicinanza delle popolazioni ai porti aumenta l’urgenza di valutare e mitigare l’impatto delle emissioni derivanti dal traffico marittimo. Alcune città portuali storiche, come Venezia e Napoli, sono particolarmente sotto i riflettori per i potenziali danni causati dalle grandi navi da crociera, che possono compromettere il patrimonio storico, economico e ambientale di queste città.

Settore trascurato

Sebbene siano state intraprese diverse iniziative a livello mondiale per ridurre l’inquinamento proveniente da fonti terrestri, come il trasporto su strada, il settore marittimo è rimasto in larga parte trascurato fino a poco tempo fa. Nel 2020, con l’introduzione del limite globale per lo zolfo nei combustibili marittimi, si è compiuto un primo passo significativo in questa direzione. Tramite questo impegno si prevede una riduzione del 75% delle emissioni globali di zolfo e particolato provenienti dal traffico marittimo. Inoltre, a partire dal 1° maggio 2025, il Mediterraneo diventerà un’area a controllo delle emissioni (Emission Control Area – ECA). Ciò significa che tutte le navi che solcheranno le sue acque dovranno utilizzare combustibili con un contenuto di zolfo dello 0,1%, rispetto al limite attuale dello 0,5%. Questa iniziativa segna un ulteriore passo avanti nella protezione del nostro prezioso ecosistema marino.

La stima delle emissioni atmosferiche portuali presenta una discreta complessità dovuta a diverse variabili che influenzano la quantità e la composizione delle emissioni. Queste variabili includono il tipo di combustibile utilizzato dalle navi, la loro dimensione e tipo, la frequenza e la durata delle operazioni in porto, nonché le attività di carico e scarico merci. Inoltre, le emissioni possono variare in base alla fase di operazione delle navi, ad esempio durante la manovra o lo stazionamento. La stima delle emissioni atmosferiche portuali richiede quindi un approccio multidisciplinare che tenga conto delle diverse variabili che influenzano le emissioni, nonché dell’utilizzo di metodologie e dati aggiornati per ottenere stime accurate e rappresentative della realtà portuale.

Lo storico delle emissioni portuali

L’analisi delle emissioni provenienti dal traffico marittimo rappresenta un importante indicatore dell’impatto ambientale delle attività portuali sulle aree metropolitane costiere. Nel periodo compreso tra il 1990 e il 2019, si è assistito a significativi cambiamenti nelle emissioni di sostanze inquinanti derivanti dal trasporto marittimo, riflettendo le variazioni nei volumi di traffico, le politiche normative e le innovazioni tecnologiche nel settore. Esaminando l’evoluzione di queste emissioni, possiamo comprendere meglio le tendenze e le sfide ambientali legate alle attività portuali nel corso degli ultimi decenni. I dati presentati nel presente articolo sono stati estrapolati dall’inventario italiano preparato da ISPRA, in conformità alle linee guida del Panel Intergovernativo sui Cambiamenti Climatici (IPCC).

Le emissioni di ossidi di zolfo (SO2+SO3) nei porti italiani hanno mostrato una tendenza generale alla diminuzione dal 1990 al 2019 (Figura 1). Tuttavia, al 2019, le città metropolitane con le maggiori emissioni di SOx sono state Roma, Napoli e Venezia, con valori rispettivamente di 1742, 964 e 442 (Mg, un megagrammo è un’unità di misura pari a una tonnellata.) (Figura 1). Mentre Venezia ha mantenuto una tendenza decrescente nelle emissioni di SOx, Roma e Napoli hanno registrato un aumento graduale dopo un significativo calo fra il 2005 e il 2010.

Per dare un’idea della portata di queste emissioni, consideriamo che un’automobile moderna emette circa 0,0004 grammi di SOx per chilometro. Questo significa che le emissioni di SOx della città Metropolitana di Roma nel 2019 equivalgono alle emissioni prodotte da circa 4,355 milioni di chilometri percorsi da automobili, ovvero circa 109 volte il giro della Terra. Allo stesso modo, le emissioni di Napoli e Venezia corrispondono rispettivamente a circa 2,41 milioni e 1,105 milioni di chilometri percorsi da automobili. Questi numeri evidenziano l’impatto significativo delle emissioni portuali sull’ambiente urbano.

La tendenza virtuosa di Venezia può essere attribuita in gran parte alle politiche che hanno incoraggiato l’uso di combustibili marittimi a basso tenore di zolfo, come l’accordo volontario “Venice Blue Flag”, grazie a cui Venezia è riuscita a ridurre notevolmente le emissioni di SOx e PM.

In generale, le normative internazionali, come l’Allegato VI della Convenzione Marpol, hanno gradualmente imposto limiti più stringenti sul tenore di zolfo dei combustibili marittimi, portando a una significativa riduzione delle emissioni a partire dal 2005.

Le emissioni di ossidi di azoto (NOx) nei porti delle città metropolitane italiane mostrano tendenze diverse nel periodo considerato, 1990-2019 (Figura 2). Mentre la Città Metropolitana di Roma ha registrato un costante aumento delle emissioni, fino a raggiungere le 28000 tonnellate nel 2019, Venezia è rimasta stabile dopo una diminuzione nel 2010. Napoli ha visto una riduzione significativa delle emissioni fino al 2010, seguita da un aumento probabilmente legato alla crescita del traffico passeggeri (Figura 2).

Per quanto riguarda le emissioni di PM10, la maggior parte dei principali porti italiani ha mostrato una tendenza decrescente dal 1990 al 2019, con l’eccezione di quelli ricadenti nella Città Metropolitana di Roma (Figura 3). Le emissioni crescenti di PM nel porto di Civitavecchia potrebbero essere correlate all’aumento del traffico passeggeri e alla maggiore attività portuale necessaria per supportarlo.

Accordi e interventi per mitigare le emissioni

L’aviazione e il trasporto marittimo contribuiscono all’8% delle emissioni totali di gas serra dell’UE. Le strategie di mitigazione attuate in Europa e nel mondo hanno già dimostrato una riduzione delle emissioni primarie di NOx e SO2. Per esempio, l’IMO delle Nazioni Unite ha imposto requisiti più rigorosi sui combustibili marittimi dal 2020, limitando il contenuto di zolfo allo 0,50% globalmente e allo 0,10% in specifiche aree (ECA). L’IMO ha anche stabilito una strategia per ridurre del 40% l’intensità media di carbonio entro il 2030 e del 50% le emissioni complessive di CO2 entro il 2050, rispetto ai livelli del 2008. Strumenti come l’Energy Efficiency Design Index (EEDI) e sperimentazioni con traghetti a propulsione elettrica stanno contribuendo a questo obiettivo.

In Europa, il Green Deal si propone di ridurre del 90% le emissioni legate al trasporto entro il 2050. La Direttiva UE 2014/94 promuove l’uso di combustibili alternativi tramite l’implementazione di infrastrutture adeguate nei porti entro il 2025. Il cold ironing, che permette alle navi di spegnere i motori e utilizzare energia elettrica fornita dal molo durante l’ormeggio, è una pratica sostenibile per ridurre le emissioni portuali.

In Italia, normative come il Decreto Legislativo 4 agosto 2016, n. 169, promuovono l’efficienza energetica e l’uso di energie rinnovabili nei porti italiani. Anche il Piano Strategico Nazionale per i Porti e la Logistica sottolinea l’importanza delle questioni ambientali nell’industria portuale. Accordi volontari come il “Blue Flag” sono stati firmati per porti come Civitavecchia e Venezia, impegnandosi a utilizzare combustibili a basso tenore di zolfo ed adottare pratiche sostenibili. Alcune antiche città portuali, come Venezia e Napoli, hanno ricevuto la maggiore attenzione a causa dei potenziali danni causati dalle grandi navi da crociera sul patrimonio storico, economico e ambientale. Nonostante queste iniziative, sono necessarie ulteriori azioni per ridurre le emissioni ed armonizzare gli interventi, specialmente considerando gli effetti ancora trascurabili su alcune sostanze inquinanti. Affrontare queste sfide richiede un impegno congiunto da parte delle autorità portuali, delle amministrazioni locali e del settore privato. È fondamentale sviluppare strategie di sostenibilità che includano l’adozione di tecnologie meno inquinanti, la promozione del trasporto marittimo sostenibile e l’implementazione di rigorosi standard ambientali. Solo attraverso un approccio integrato e consapevole sarà possibile conciliare la crescita del traffico portuale con la tutela dell’ambiente e la salute delle comunità costiere.

* ** CNR-IIA

Questo articolo è tratto dal numero di giugno-luglio 2024 di QualEnergia
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