Voli su questa Genova post elettorale con molte domande Mentre Silvia Salis brilla della sua luce automatica, a scatti prenotati, nel cielo della Superba e non solo. E atterra nei talk show nazionali di Floris, dove smentisce-accredita la voce di una sua carriera proiettata già in avanti, molto avanti, oltre i cinque anni di Governo di questa città, mai come oggi in bilico.
Ha vinto, non stravinto come l’epopea racconta, con un inatteso boom di votanti, un 17,4 per cento in più dal 2022 di Marco Bucci trionfante. Il 25 e 26 maggio hanno votato 249.115 elettori, nel 2022 votarono in 212 mila…….
Non è neppure vero che il povero Piciocchi ha straperso. Anzi ha guadagnato voti rispetto al crak genovese per la Destra delle ultime elezioni regionali, che complessivamente premiarono Bucci, salvato a Imperia da Scajola. Ha rosicchiato a quel Bucci, sconfitto in casa, più di mille voti.
È vero che tutta la sinistra ha fatto un balzo in avanti dagli inferi delle ultime elezioni . Ariel dello Strologo, ultimo candidato del centro sinistra nel 2022, si era fermato a 77 mila voti, la Salis extralarge ne ha presi 124.700, tornando vicino ai 127 mila che aveva preso Marco Doria, il “marchese rosso”, nel 2012, indicato come l’emblema della catastrofe postcomunista…
Allora sono andati a votare molti in più, sicuramente attratti dalla ragazza atleta genovese-romana, scelta con segreta perizia da un circolo non vicino a Genova e che Genova ha rapidamente benedetto E questo scatto ha capovolto per l’ennesima volta il quadro genovese. Che viaggia a cicli oramai da decenni e decenni.
A Genova chi ricorda Pertusio?

Si può tornare indietro per ricostruire quello fantasmagorico di Vittorio Pertusio grande signore democristano, che governò e rilanciò la città nel faticoso dopoguerra per 14 anni portandola dalle macerie al centro sinistra, il primo in Italia, con le maledizioni e gli anatemi del cardinale-principe Giuseppe Siri.
Ciclo ultrademocristiano, rinsaldato dai suoi successori Augusto Pedullà, l’ingegnere ex Uite, padre di dieci figli, moroteo deciso, e da Giancarlo Piombino, il fedelissimo di Paolo Emilio Taviani, tradito dai socialisti, suoi alleati, che lo rovesciarono in una notte di aprile. Sostituendolo con Fulvio Cerofolini, il sindaco tranviere, lombardiano, popolarissimo. Che inaugurò a Genova l’era delle giunte rosse, come a Roma e a Torino con Diego Novelli.
Un ciclo di ferro e fuoco in cui la Superba è cambiata radicalmente, negli anni di piombo del terrorismo e della grande crisi industriale, meno 220 mila abitanti, meno 40 mila operai. Ma anche un ciclo di grande cultura socialcomunista, in concomitanza con le rivoluzioni “democratiche” dei decreti delegati nella scuola, dei manicomi chiusi, della cultura solo de sinistra. Ma anche in una città dalle grandi riscosse, la preparazione del 1992 di Colombo, la ricostruzione del Carlo Felice e del Palazzo Ducale e del palazzo di Giustizia.
Il ciclo sinistra- destra
Un breve ciclo di centro sinistra-destra, con la sorpresa del sindaco repubblicano, il farmacista Cesare Campart e la Dc per l’ultima volta a Palazzo Tursi, solo cinque anni e poi ininterrottamente, dal 1990 fino al fatidico 2017 della presa da parte di Marco Bucci della cosidetta Roccaforte rossa, o scindeco ch’o cria, che aveva cambiato il destino, capovolgendo nella grande spinta della destra di Giovanni Toti, vincitore in Regione due anni prima, con la sconfitta dell’asse Claudio Burlando- Raffaella Paita e il divorzio clamoroso di Sergio Cofferati dal Pd, una ferita insanabile.
Ecco l’ultimo ciclo che la stella di Salis ha interrotto, neanche troppo bruscamente, dopo il passaggio di Bucci in Regione, un errore colossale a metà legislatura, per non perdere la reggia di piazza De Ferrari, molto meno importante a seguire questi cicli del Comune di Genova.
Si va a cicli e come è stato questo ultimo del Bucci, il sindaco americano yankee, quello di “tirarsi su le maniche e lavorare”, delle grandi opere, dell’entusiasmo, delle vision, del mood cambiato, del ponte Morandi ricostruito in 18 mesi, del metodo Genova diventato la bandiera, con la Croce di San Giorgio che sventolava ovunque perfino in faccia agli inglesi, cui chiedere il risarcimento per il suo secolare uso , tutti lo sanno.
Ma allora perché ha vinto di nuovo il centro sinistra, per quanto extralarge, dopo 9 sconfitte in tutta la Liguria e che aveva già digerito lo scandalo di Toti, conquistando le elezioni regionali, nello scorso novembre?
Solo perché è stata lanciata un po’ inopinatamente, insieme al suo martello, Silvia Salis, creatura perfettamente costruita per il momento, per le sue caratteristiche, per le provenienze, per la de ideologizzazione per niente marcata, presentandosi come donna di sinistra, di umili origini genovesi, ma di high society romana, di impegno sociale e di tocco mediatico perfetto, anche grazie al marito Fausto Brizzi, regista di qualità, renziano di appoggio e ora il piccolo Eugenio, il loro bimbo di un anno e mezzo, portato in trionfo in braccio alla mamma, con il ciuccio in bocca e la molletta nei capelli, mentre i compagni vittoriosi cantavano “Bella ciao”, riprendendosi “il palazzo d’inverno” a Tursi in un dolce sera di maggio?
Intanto in termini di voti il centro destra non ha perso molto. Solo che in passato, tenendosi i suoi consensi, aveva sfruttato le turbe della sinistra, che ora non ci sono state più.
Nel 2015 lo “strappone” di Cofferati e la candidatura interna e avversa di Luca Pastorino, perfino nel 1997 la candidatura contro Pericu di Adriano Sansa, il sindaco uscente, che per un pelo non faceva vincere il post leghista e liberale Sergio Castellaneta.
Invece in questo 2025 la remontada perfetta. È facile dire che il campo largo, labile fuori Genova come le lucciole di queste prime notti paraestive, ha avuto buon gioco a incassare il suo vantaggio in una campagna nella quale il centro destra non è riuscito a offrire modelli nuovi o modificati rispetto alle marce trionfali di Bucci. E vai con le grandi opere impostate, dalla superdiga ai tunnel subportuali, ai nodi ferroviari, agli skymetro e alle funivie, provocando la Salis a dire si e no.
Se li è mangiati in un boccone, la bella ex olimpica, contrapponendo il suo modello ultra sociale, delle infrastrutture per la persona nella città più vecchia e fragile d’Europa, quasi de industrializzata con il porto che è un caos, provocato dalle inchieste sulla Destra e dalla incapacità del governo.
Lo scalo genovese non ha un presidente da due anni.
Salis non ha concesso nulla al fronte moderato nella sua campagna elettorale, minuziosa sul territorio: ha semplicemente candidato a priori, nella sua futura giunta, le sue “cavallerizze” di Calenda e Renzi, Arianna Viscogliosi e Cristina Lodi, assessorati assicurati e zitti e mosca tutti gli altri.
Così Piciocchi, lasciato solo da dirigenze della destra ligure e genovese un po’ sguarnite, a parte Edoardo Rixi, il viceministro leghista, che è sempre più democristiano e che, nel giorno della sconfitta, sembrava il generale Custer in mezzo agli indiani con la sciabola sguainata a contare: “Mamma quanti sono?”, si è immolato il Piciocchi con dignità, alzando una bandiera bianca che sa di resa davanti a un altri ciclo.
Ma questo non è detto, perché non sappiamo più che Genova è questa, che si è un po’ incantata davanti alla Salis, prodotto extra di una politica nuova e diversa, senza basi specifiche, con una sovrumana capacità mediatica, ben oliata per intercettare la fine di una era che ha sopratutto nel tramonto totiano, del suo stile, della sua corte di nani e ballerine, lo specchio più vivido.
Lì resiste solo la inarrestabile deputata di “Noi moderati”, Ilaria Cavo, totiana di ferro, ma incontaminata nello scandalo, genovese, ex assessora regionale, candidata in fretta e furia a vicesindaco di Piciocchi per parare il colpo Salis e non caduta da cavallo il di nella sconfitta perché è stata capace di beccare il record delle preferenze, oltre 3 mila.
Questa ex cronista Tv, passata da Vespa, a Mentana e Mediaset e alla politica totiana, promette di essere il faro della grande opposizione genovese tra Genova e Roma.
È deputata e consigliere comunale, ha una grande visibilità e si candida già sia per il Comune, sia per la Regione, sull’asse Roma-Genova, tra il governo meloniano, quello bucciano e la Salis sull’altro fronte, della quale però è “amica”.
Vuol dire che il futuro destino genovese e ligure è tutto femminile.
Ancora di più, se si cerca di capire qualcosa nelle manovre che con una certa eleganza distaccata Silvia Salis sta facendo per comporre la sua giunta. Tra spartizioni dei partiti con il Pd (che ha 14 consiglieri) predominante nel peso e nelle pretese e problemi di genere, a Genova sta capitando il rovescio che altrove. Il segretario provinciale del Pd, Simone D’Angelo, gran regista delle elezioni, ha addirittura preparato una proposta che autorizzi a ridurre il numero dei maschi in giunta, perché ci sono troppe donne candidate agli assessorati e si violerebbe la regola della parità di genere. Eccola un altro effetto Salis, l’amazzone dell’ ultimo ciclo genovese.
Ma intanto il dubbio resta: che Genova è questa che esce dall’ultimo ciclo rovesciato? Di nuovo una roccaforte rossa, postcomunista, postsocialista?
Qualche acuto osservatore sostiene che in fondo Genova è sempre stata un po’ mazziniana, che vuol dire di sinistra moderata e che questa anima è sempre spuntata nelle sue traversie democratiche. Ma poi è arrivato negli anni Sessanta-Settanta il Pci del 42, 43 per cento, egemone anche dei socialisti di Cerofolini e di uno non qualsiasi, come Sandro Pertini. E prima ancora c’era Paolo Emilio Taviani, il democristiano cattolico-laico, che aveva costruito il centro sinistra, alla faccia della Chiesa.
Si sono consumati un po’ tutti poi, i democristiani baricentrici, i comunisti duri e puri, i socialisti di piazza Posta Vecchia, delle origini zeneisi, i moderni residui di moderati, i borghesi ex impreditori o ancora in parte, che alla fine correvano ai pranzi di Toti, coprendolo di soldi e di appoggi. E di richieste. Vedi Aldo Spinelli, il “grande corruttore”….
Ora si muove qualcosa di nuovo. Indefinibile, a partitico, mediatico e ben finanziato. Ma la Salis non è certo mazziniana.
L’articolo Genova per voi, donne al comando, porto allo sbando: come sarà dopo il ribaltone elettorale proviene da Blitz quotidiano.