Beni confiscati alle mafie, ventisette anni fa la legge per il riutilizzo. Libera fa il punto della situazione

Bandiere dell'associazione Libera contro le mafie

Nel nuovo report l’associazione racconta oltre mille realtà della società civile impegnate a trasformare questi luoghi, ma ci sono ancora nodi da sciogliere nella filiera del riuso sociale

Il 7 marzo ricorre il 27esimo anniversario dall’approvazione della Legge 109/96 che regola il riutilizzo pubblico e sociale dei beni confiscati alle mafie. In occasione di questa giornata, l’associazione Libera contro le mafie presenta la nuova edizione del report “Raccontiamo il bene”, per fare il punto su come l’Italia ha saputo reagire alla presenza mafiosa e si è riappropriata dei propri spazi, creando un modello di cambiamento.

Sono 1.132 i soggetti della società civile impegnati nella gestione dei beni confiscati, con oltre 600 associazioni, 30 scuole di ogni ordine e grado e numerosi gruppi locali che utilizzano questi beni per creare nuove opportunità e un’economia positiva. Queste realtà stanno trasformando gli spazi confiscati in luoghi di aggregazione, cultura e welfare, contribuendo a tessere un tessuto sociale più forte e resiliente.

Rispetto all’anno scorso, il numero di soggetti coinvolti è aumentato del 6,2%, con una presenza attiva in 398 comuni (contro i 383 del 2024). La Sicilia resta la regione con il maggior numero di realtà sociali che gestiscono beni confiscati (297 soggetti), seguita da Campania (186), Lombardia (159) e Calabria (147).

I beni gestiti dai soggetti della società civile

  • Il 56,5% degli immobili ospita attività legate a welfare e politiche sociali;
  • il 26% è dedicato a cultura, turismo sostenibile e promozione del sapere;
  • il 10% è utilizzato per progetti legati all’agricoltura e all’ambiente.

Di questi, 105 soggetti gestori hanno scelto di intitolare i beni a vittime innocenti delle mafie, un numero in crescita rispetto ai 88 dello scorso anno.

«Chiediamo che dal mondo della politica ci sia una chiara presa di posizione: i beni confiscati non si possono privatizzare, attraverso l’affitto oneroso o con la vendita – commenta Tatiana Giannone, responsabile nazionale Beni confiscati di Libera – chi scrive che la confisca ha penalizzato i territori del Sud Italia, sta riscrivendo la storia del nostro Paese, calpestando chi ha dedicato la sua vita a sostenere la confisca dei patrimoni come strumento cardine della lotta alle mafie. Questo non lo possiamo permettere e il nostro impegno sarà quello di tutelare l’impianto normativo nella sua interezza».

I risultati ottenuti fino a oggi sono straordinari, ma le sfide non sono finite. La lotta contro la criminalità organizzata e la promozione di pratiche di riutilizzo sociale dei beni confiscati richiedono un impegno continuo da parte dei cittadini, delle istituzioni e della politica.

«Negli ultimi anni sono stati fatti tanti passi in avanti nella cornice normativa e in quella amministrativa – prosegue Giannone – e l’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni confiscati, fulcro del processo di destinazione di un bene, ha assunto un ruolo cruciale di raccordo tra gli enti nazionali e le amministrazioni locali. Ma la strada è ancora lunga.

La recente introduzione della Piattaforma unica delle destinazioni sta semplificando la procedura di assegnazione dei beni confiscati, ma solleva anche nuove responsabilità per comuni e organizzazioni del Terzo Settore. Questi soggetti devono ora integrare la gestione dei beni nei propri piani di azione, progettando interventi e richiedendo ulteriori spazi. Il riuso sociale è ormai una prassi consolidata e la nuova piattaforma offre un’opportunità per renderla ancora più efficace.

«Sentiamo forte la necessità di imparare a progettare insieme, pubblico e mondo del sociale, di scambiarci le visioni e di affrontare i desideri dei cittadini come priorità dell’agenda politica; questo era il sogno di Pio La Torre, questo è il sogno che Libera ha trasformato in legge. Per tutti questi motivi, per questa strada che insieme abbiamo costruito ora non possiamo tornare indietro: la privatizzazione, sotto ogni forma, dei beni confiscati alle mafie sarebbe un tradimento alla nostra storia e all’impegno di tutto il movimento antimafia».

A livello europeo, la criminalità organizzata continua a rappresentare una minaccia significativa, con proventi stimati tra i 92 e i 188 miliardi di euro l’anno. Nonostante ciò, meno del 2% dei beni illeciti viene effettivamente confiscato. La recente approvazione della Direttiva 1260/2024, la cosiddetta “legge Rognoni-La Torre europea”, potrebbe segnare un punto di svolta nella lotta contro le mafie.

«Gli importanti risultati raggiunti in termini di aggressione ai patrimoni delle mafie, della criminalità economica e dei corrotti e le sempre più numerose esperienze positive di riutilizzo sociale, richiamano sempre più l’attenzione sulle criticità ancora da superare e sui nodi legislativi ancora da sciogliere che richiedono uno scatto in più da parte di tutti. Per queste ragioni, con urgenza chiediamo che si possa garantire trasparenza nell’intera filiera di confisca e riuso dei beni confiscati, non come pratica dei singoli enti pubblici impegnati nel percorso del bene – continua Tatiana Giannone – La partecipazione democratica dei cittadini e la possibilità di incidere sulle politiche pubbliche del territorio è un diritto e un dovere per chi si impegna quotidianamente. Poter contare su banche dati che interagiscono tra loro e che condividono i diversi passaggi della vita di un bene confiscato permette a tutti noi di poter progettare un riuso il più aderente possibile ai bisogni della comunità. La cultura del dato, come cultura di attivazione partecipata, deve essere alla base delle scelte amministrative dei tribunali, di ANBSC, degli enti locali di prossimità. Le risorse per la valorizzazione dei beni confiscati, devono essere messe a sistema, facendo dialogare i fondi pubblici e gli investimenti di enti privati. Trent’anni di esperienza, infatti, ci confermano che non si può solo sostenere la ristrutturazione di un immobile, senza pensare a come renderlo un luogo aperto e sostenibile. Chiediamo, quindi, che si possa creare una cabina di regia nazionale, inserita all’interno della strategia nazionale che ci viene richiesta dalla nuova direttiva europea, per sistematizzare le risorse e rendere i diversi fondi complementari tra loro».

Il report “Raccontiamo il Bene” è una testimonianza di come, attraverso il riutilizzo dei beni confiscati, si possa costruire un futuro migliore. È il racconto di una resistenza viva, di progetti che restituiscono dignità e speranza a territori segnati dalla criminalità, ma che oggi stanno cambiando volto grazie all’impegno di tante realtà sociali.

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