Candela: “Totti? Aveva un dono divino, leggeva il calcio prima degli altri. Zeman? Litigavamo spesso ma mi ha insegnato la disciplina”

Nell’intervista alla Gazzetta dello Sport, Vincent Candela ripercorre la sua vita, tra rugby, calcio e filosofia personale. “Il rugby mi ha insegnato il senso di gruppo, uno spirito che ho portato nella Roma dello scudetto”, spiega. Cresciuto a Tolosa, con padre spagnolo e madre di origini italiane, ha imparato a giocare a calcio da bambino, sognando l’Olympique Marsiglia. “A undici anni segnavo tanto, poi mi hanno messo terzino: lì finiscono i meno bravi” scherza. Roma è diventata la sua casa: “Ho passato più anni in Italia che in Francia. La Roma è la squadra della mia vita”. Con Totti e Zidane? “Due amici. Francesco aveva un dono divino, leggeva il gioco prima degli altri. Zizou era il Calcio: elegante come un ballerino, fisico da gladiatore”. Candela non risparmia aneddoti su Zeman (“litigavamo spesso, ma mi ha insegnato la disciplina”) e Capello (“sembrava un generale, poi costruimmo un rapporto favoloso”). Ricorda con affetto anche i sei mesi al Bolton: “Una pacchia, Okocha era un fenomeno”. Il momento più bello? “Il Mondiale vinto nel ’98”. Il rimpianto? “Lasciare la Roma troppo presto”. Oggi ride spesso, ma ammette: “Abbiamo una corazza. Quando la togli, resta solo l’uomo. E io voglio scoprire ogni giorno qualcosa in più su me stesso”.

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