Roma, 15 ott. (askanews) – Un caso “ingigantito, forse da qualcuno che vuole mettere in cattiva luce Chiara Appendino. Sono comportamenti che abbiamo già visto in passate legislature e che non vogliamo vedere mai più nel Movimento”. È questo l’accorato commento di un esperto parlamentare a 5 stelle sulle indiscrezioni giornalistiche a proposito della minaccia di dimissioni pronunciata dalla vicepresidente M5S nel corso dell’assemblea congiunta dei deputati e dei senatori stellati che si è svolta martedì in tarda serata. Appendino, da sempre sostenitrice di una maggiore autonomia dalle alleanze col centrosinistra, ha sottolineato nel suo intervento “i risultati inferiori alle aspettative” nelle recenti tornate di elezioni regionali.
In realtà altre voci interne al Movimento e presenti all’assemblea di ieri fanno notare, sempre con garanzia dell’anonimato, che forse sarebbe stato “più leale” da parte dell’ex sindaca di Torino anticipare personalmente a Giuseppe Conte le sue critiche sulla politica delle alleanze.
È lo stesso Conte, parlando in serata ai cronisti a margine della cerimonia del Premio Silvestrini, a negare la fondatezza politica del dissenso dell’ex sindaca di Torino, che in passato qualcuno accreditava come possibile successore alla poltrona di presidente. Meno schiacciati sul Pd? “È quello che stiamo facendo, si va (in alleanza, ndr) solo se ci sono programmi chiari e condivisi”. Quanto alla minaccia di dimissioni, il leader la liquida in poche parole: “Non c’è stato nessun annuncio di dimissioni. Io non ho ricevuto nulla e permettetemi pure di dire che sono il presidente che ha nominato la vicepresidente”. E del resto si sta per votare il rinnovo del presidente “non avrebbe senso, sono tutti in scadenza”.
Le testimonianze sulla congiunta dei deputati e dei senatori concordano però su un punto: l’era delle divisioni interne più aspre, quasi per correnti come del resto hanno dimostrato le scissioni da un lato degli anti-Draghi dall’altro dei pro-Draghi guidati da Luigi Di Maio, realizzatesi entrambe nella scorsa legislatura, è ormai alle spalle.
“A differenza dell’era dimaiana – giura un dirigente autorevole di nota fede ‘contiana’ – il dibattito è più libero e anche più fluido: nella discussione di martedì sera sono entrate osservazioni sulla crisi generalizzata delle sinistre e del centrosinistra nel mondo, sulla debolezza dei nostri comitati territoriali, sul problema delle preferenze che i nostri candidati non raccolgono a sufficienza. Gli unici casi recenti di buoni risultati individuali nelle Marche e in Toscana, non a caso, hanno riguardato persone al terzo mandato. Del resto, non mi pare – aggiunge con una implicita critica alla linea Appendino – che quando siamo andati da soli come a Roma o a Torino, i risultati siano stati migliori di quelli delle regionali…”.
Altro tema posto in riunione “quello dell’incapacità del Movimento di tornare a parlare agli astenuti”. Ma il bilancio interno vero, concordano i parlamentari disposti a parlare pur se a taccuini chiusi, “si farà soprattutto al termine delle elezioni regionali”: con un occhio in particolare al destino dell’ex presidente della Camera Robero Fico, un veterano dei 5 stelle che nel lavoro delle liste sta mostrando una certa “attenzione”, ammettono le voci interne, anche a pezzi di ceto politico legati al centrosinistra un tempo più duramente avversato dal Movimento delle origini, quello delle clientele locali e delle “fritture di pesce” care al governatore uscente Vincenzo De Luca.
A dimostrazione che la preoccupazione per i risultati elettorali nel Movimento è piuttosto viva, nonostante i sondaggi nazionali assegnino ancora alla forza guidata da Conte una percentuale nazionale che oscilla fra il 10 e il 13 per cento: “E da lì – commenta ancora l’alto dirigente M5S – si può arrivare fino al 15-16 per cento, che è poi il potenziale reale che abbiamo”.