Commenti su L’Italia ha presentato a Bruxelles il Piano energia e clima di Francesco Loiacono

In risposta a ettore.ruberti.

Gentile dott. Ruperti,
La ringraziamo per il suo commento, che ci dà certamente l’occasione di fare un po’ di chiarezza sul tema e sulle ragioni che, ancora una volta, ci spingono a non sostenere una politica energetica che possa prendere in considerazione il nucleare.
Prima di tutto, il nucleare non sta vivendo nessuna “seconda giovinezza”, se non nelle ipotesi di questo Governo e di pochi altri. E a dimostrarlo sono in numeri e i fatti in campo:
– Prendendo gli ultimi 20 anni, il numero di reattori nel mondo è pressoché costante, facendo registrare una riduzione nel numero – si passa da 443 reattori nel 2004 a 418 nel 2023 – e facendo registrare un aumento di appena 10 GW di potenza, mentre il nucleare dal 17% di copertura della domanda elettrica globale nel 2000 è oggi sceso al 9%
– Dei 38 Paesi che hanno, hanno avuto o intendono avere per la prima volta impianti nucleari quelli con impianti in costruzione sono 15, con un fortissimo ruolo della Cina. 18 quelli che hanno spento parte dei reattori in costruzione e di questi 12 quelli che non hanno in programma nessun nuovo reattore. A cui si aggiungono altri 10 Paesi che hanno impianti attivi ma nessun nuovo programma nucleare.
– Nonostante l’UE abbia introdotto il nucleare nella tassonomia verde, dei 14 Paesi facenti parte della UE e che hanno questi impianti solo in 3 di questi sono in costruzione nuovi reattori.
Un quadro che, prendendo i dati della IAEA difficilmente ci fa parlare di seconda giovinezza.
Non solo, ma in un quadro di giusta transizione è bene notare che questa eventuale “seconda giovinezza”, nell’indice democratico – sviluppato dall’ Economist Intelligence Uni, in una scala da 1 a 10, la stragrande maggioranza dei reattori in costruzione – 37 su 59 – sta avvenendo in Paesi con un indice democratico molto basso, dove quindi l’opinione dei cittadini ha scarso o nessun peso. Un tema a nostro parere non di poco conto.
A queste considerazioni aggiungiamo che la seconda giovinezza del nucleare ad oggi risulta impossibile nei Paesi in cui i Governi non foraggiano in modo importante la realizzazione e il sostegno dell’atomo. Basti pensare a quanto accaduto in Francia e ai costi. Infatti, la realizzazione delle centrali nucleari EPR, che in teoria servivano per fornire una migliore competitività economica rispetto ai precedenti reattori PWR, in Europa è stata caratterizzata da importanti sforamenti nei tempi e nei costi. L’impianto EPR di 1600 MW finlandese entrato in funzione nel 2022 (Olkiluoto 3) è costato 11 miliardi di euro rispetto ai 3,2 preventivati e ha richiesto 17 anni di lavori dall’inizio della costruzione. Per quanto riguarda la terza unità EPR di Flamanville, in Normandia, oltre a sottolineare che da quando sono iniziate le operazioni di avviamento, a metà maggio 2024, si è registrato un flusso costante di segnalazioni di incidenti – la maggior parte rivela un problema hardware, rotto o configurato in modo errato, con conseguenze gravi che mettono in evidenza che sia l’installazione che le squadre non sono pronte, anche quando si tratta di funzioni essenziali, come il controllo del circuito di raffreddamento principale – i costi iniziali, nel 2004, stimati in 3 miliardi di euro sono ad oggi rivalutati a 13,2 miliardi. Le due unità EPR in costruzione a Hinkley Point C nel Regno Unito hanno avuto una stima di 18 miliardi di sterline già salite a 26 e finanziate grazie all’impegno del Governo britannico ad acquistare per 35 anni la fornitura dell’energia prodotta a un prezzo di 92,50 sterline/MWh: più del doppio del prezzo di mercato locale dell’elettricità alla firma dell’accordo nel 2016. E cifra che proprio secondo la convenzione stipulata col governo è già aumentata a 106 sterline in base all’inflazione già durante la fase di costruzione e per i susseguenti 35 anni, quando mancano ancora ben cinque anni alla prevedibile entrata in esercizio, nel 2029, della prima unità, e sette per la seconda.
E il tema dei costi non riguarda solo gli impianti che siamo abituati a conoscere, ma anche i famigerati SMR che il nostro Governo propone. Basta pensare al caso dell’azienda americana NuScale Power, tra i leader in questa tecnologia, che aveva avviato un progetto con la Utah Associated Municipal Power Systems, poi abbandonato proprio per i costi di costruzione passato da 5,3 miliardi di dollari a 9,3, con corrispondente crescita del costo dell’energia da 58 a 89 $/MWh (+53%). Qui a tal proposito uno studio interessante effettuato da IIEFA.
Stessa storia per la francese EdF che ha recentemente cancellato dai propri programmi il progetto Nuward per problemi tecnici e per l’incremento dei costi.

A proposito della Germania, poi, nonostante si fosse detto che l’abbandono del nucleare avrebbe obbligato il Paese ad affrontare l’aumento di prezzi e i problemi legati all’approvvigionamento, i dati raccontano un’altra storiaA marzo 2023, il mese prima dell’eliminazione graduale, la distribuzione della produzione elettrica tedesca era per il 53% rinnovabile, per il 25% a carbone, per il 17% a gas e per il 5% nucleare. A marzo 2024 era per il 60% rinnovabile, per il 24% a carbone e per il 16% a gas. In pratica, l’abbandono al nucleare ha coinciso con una produzione record di energia rinnovabile a livello nazionale e in una riduzione nell’uso del carbone.
Veniamo, invece, al Rubbiatron, premettendo che non abbiamo nessuna contrarietà alla ricerca ed è bene che si continui a farla. Intanto la ringraziamo per la sua chiara e precisa spiegazione relativamente a questa possibile tecnologia. Non è la prima volta, anzi è davvero da tanti anni che si parla di questo tipo di reattori, autofertilizzanti, subcritici e basati su alternative all’acqua come i metalli pesanti o, appunto, il torio, che lei descrive come in ‘fase di avanzatissima progettazione’, però, ad oggi, come lei ben saprà impianti realizzati e commerciali non ce ne sono.

Gli Stati Uniti, dopo aver lavorato alla costruzione dei reattori basati sul torio per oltre 50 anni, arrivando a costruire ben 4 modelli di reattore – che non hanno mai raggiunto la fase commerciale – hanno rinunciato a questa tecnologia negli anni 90. Le ricerche però continuano in diversi paesi e il fervore si sente soprattutto in India, dove c’è un’abbondanza di torio, e in Cina dove è stato costruito l’unico reattore a torio attualmente in funzione nel deserto del Gobi. A quanto pare però, contribuirà alla produzione di solamente 2 MW e verrà prevalentemente usato come ‘prototipo’ per studiarne meglio le potenzialità.

Se infatti dal punto di vista teorico il torio potrebbe rappresentare una valida alternativa all’uranio, quantomeno per la quantità reperibile in natura e la capacità di eliminare (?) una –bassa- quantità di scorie per TWh, la tecnologia, ad oggi, rimane sicuramente lontana dall’essere ‘ready to use’ e non ha ancora risolto alcune problematiche intrinseche legate primariamente alla sua sicurezza ma soprattutto al riprocessamente del combustibile esaurito, obbligatorio per ricuperare l’Uranio-233 prodotto. E quando parliamo di sicurezza, non parliamo di disastri – o errori come li definisce lei- come quello di Chernobyl, ma ci riferiamo anche al rischio di proliferazione nucleare, minaccia non irrisoria soprattutto in tempi di guerra come quello che ci stiamo attualmente trovando a vivere. A tal riguardo, tornando per un attimo sulla rinascita del nucleare in alcuni Paesi e all’indice democratico di cui parlavamo prima, sottolineiamo l’importanza di questo parametro. Basta guardare cosa accade oggi nella centrale nucleare di Zaporižžja in Ucraina, sotto controllo dei russi, e utilizzata per bombardare l’Ucraina stessa.

Tornando al Torio, come Lei ben saprà questo è presente in natura ed è composto quasi interamente da torio-232, non fissile. Durante il bombardamento/spallazione necessario per convertirlo, dopo diversi passaggi, in uranio-233 vengono sub prodotti sia isotopi di radion che uranio 232 il quale decade in altri isotopi che emettono intense radiazioni difficili da schermare. Per sopperire a questa produzione di U232, tossico e nocivo, alcuni scienziati sostengono che il protoattinio-233, primo elemento in cui decade il Torio-232, possa venire separato chimicamente in impianti molto più piccoli decadendo direttamente solo in U233, fissile e adatto alla produzione di ordigni nucleari. Il rischio di proliferazione nucleare quindi è ben presente, ed è stato anche già lanciato da uno studio britannico secondo il quale da 1.600 chili di torio è possibile ottenere in meno di un anno 8kg di uranio-233.
Quindi, sebbene il torio sia più abbondante dell’uranio, non pare essere più sicuro o meno costoso e in ogni caso, parlando di energia nucleare, il costo della risorsa – uranio o torio che sia- è solo una piccola frazione del costo complessivo della tecnologia. Infine, parlando di impatti ambientali, è stato provato che non esista un ‘combustibile migliore’ tra torio e uranio in quanto ciascuno rende meglio, o peggio, a seconda della metrica esaminata.
Concordiamo con Lei sull’incompetenza e inaffidabilità dei nostri politici che non hanno ancora provveduto alla scelta del sito nazionale dove riporre i rifiuti nucleari ed ospedalieri. Tra l’altro, proprio il prossimo anno, secondo gli accordi presi con Parigi, dovremo riprenderci indietro circa 80 mila metri cubi di questi rifiuti che avevamo spedito ai francesi nell’attesa di costruire una sede adatta al loro trattamento.
In secondo luogo, concordiamo pienamente con Lei sul fatto che l’attuale parco installato delle rinnovabili in Italia copra ancora una parte non sufficiente dei nostri consumi, parliamo del 37% dell’elettrico, anche se come avrà visto grazie ai 6 GW realizzati nell’ultimo anno i mesi di aprile e maggio hanno fatto registrare numeri mai visti prima. A tal proposito sottolineiamo che se l’Italia dal 2020 ad oggi avesse accelerato sulle installazioni degli impianti FER, oggi avremmo raggiunto una produzione in grado di coprire oltre il 50% dei consumi elettrici. Un numero decisamente più importante e che farebbe guardare a queste tecnologie – che scontano norme non adeguate e lentezze burocratiche inaccettabili – con un occhio decisamente diverso.
Purtroppo, come dimostrato ancora una volta dall’ultima versione del PNIEC, ci dimostriamo un paese poco ambizioso, ipocrita e legato ai combustibili fossili. Come diceva giustamente Lei importiamo elettricità dalla Francia creata con il nucleare, ma facciamo anche peggio. Ci ribelliamo alle importazioni da gas russo, sconvolti dalla guerra in Ucraina, per poi perseguire il Piano Mattei dove molti dei paesi con i quali abbiamo stretto accordi per la fornitura di gas non sono più democratici della Russia e si sono macchiati a loro volta di crimini indicibili.
Concludendo, le possibilità di creare energia pulita, rinnovabile, locale e sicura sotto tutti i punti di vista e di farlo ora esistono già. Continuare a rimandare o a divergere centinaia di milioni di euro in tecnologie che potrebbero, forse, un giorno rivelarsi effettivamente capaci di darci una mano, è un rischio troppo grande.

Katiuscia Eroe, responsabile energia di Legambiente