
Quello delle fonti rinnovabili è un percorso per il quale sono necessarie regole condivise
di ATTILIO PIATTELLI, Presidente del Coordinamento FREE
Se analizziamo i pareri rilasciati dal Ministero della Cultura, circa gli impianti eolici on-shore sottoposti a VIA, scopriamo che di 100 progetti circa l’85% ha ricevuto parere negativo. Dall’analisi di questi dati, non sbaglio se mi avventuro a dire che gli impianti eolici siano ritenuti, dai funzionari del MiC, poco idonei a essere inseriti nel paesaggio esistente. Mi chiedo: ma chi ha deciso che gli impianti eolici sono brutti? Chi ha deciso che possono esserci strade e tralicci della corrente elettrica un po’ ovunque, anche nei parchi e non pale eoliche? Chi ha deciso che nei centri storici si possono avere centinaia di condizionatori appesi anche ai palazzi più belli e decine e decine di antenne ovunque ma non impianti fotovoltaici? Chi ha deciso che un terreno può essere utilizzato per l’agricoltura, ma non per la produzione di energia elettrica?
Nessuno l’ha deciso ma è solo il lento progredire del tempo che ci fa sembrare naturali delle cose che di naturale hanno nulla e ci fa sembrare non idonee le novità. Se prendiamo un aereo e sorvoliamo qualsiasi regione dell’Italia ci accorgiamo che, a eccezione delle aree montuose, il paesaggio è costituito in prevalenza da tanti quadratini più o meno grandi, da vie di comunicazione e aggregati urbani. Se avessimo potuto fare lo stesso viaggio qualche migliaio di anni fa avremmo visto in prevalenza boschi. Infatti, oggi, in termini tecnici, non si parla di “paesaggio naturale” ma di “paesaggio agrario”.
La verità è che l’urgenza di agire con l’introduzione di un nuovo modello energetico si sta scontrando con un problema di tipo culturale di modificazione del paesaggio che invece richiederebbe tempi più lunghi per essere interiorizzato. Siamo però di fronte anche a un conflitto sociale tra chi vuole preservare interessi consolidati (mondo agricolo e mondo fossile) e chi sta tentando di introdurre dei cambiamenti.
La giusta soluzione a entrambi i problemi sarebbe il tempo. Avere il giusto tempo perché le frizioni si stemperino gradualmente e pian piano vengano fuori nuove soluzioni di compromesso. Purtroppo, di tempo ne abbiamo poco e quindi dobbiamo tentare di sfruttarlo al meglio. L’errore fatto finora è stato quello di pensare che le cose potessero procedere senza una vera concertazione ma basandosi sulle vecchie regole. Se si opera con regole vecchie di dieci e più anni mentre nel frattempo le condizioni di intervento sono cambiate (tecnologie più mature, impianti eolici più grandi, numerosità degli interventi aumentata) è ovvio che si finisce per generare frizioni che possono anche sfociare in veri e propri “conflitti” sociali.
Analizzando il problema da questo punto di vista è più facile capire perché oggi abbiamo una moratoria in Sardegna o perché ci ritroviamo il Decreto Agricoltura. Non sto dicendo che si tratti di provvedimenti condivisibili ma che dobbiamo vederli come una reazione a un fenomeno che non è stato gestito adeguatamente. Forse, anche il mondo dell’energia dovrebbe fare autocritica e comprendere che servono regole chiare. Ciascuno dovrà fare un passo indietro per farne due in avanti. E se sarà necessario rinunciare a fare impianti fotovoltaici da 300 MW, bisognerà prendere atto che l’Italia non è la Spagna. Per evitare che la partita possa finire con un perdente, è arrivato il momento di sedersi tutti intorno al tavolo e definire le migliori regole possibili per lo sviluppo delle rinnovabili in Italia. Sono convinto che si sia ancora in tempo. In questo però il settore delle rinnovabili dovrebbe essere più unito per riuscire a pretendere serietà di approccio e pragmatismo dalle istituzioni.
Questo articolo è tratto dal numero di Giugno – Luglio del bimestrale Qualenergia