Cosa ha scritto la Verità dí tanto grave da provocare il putiferio fra Palazzo Chigi e il Quirinale, tanto da imporre un faccia a faccia fra Giorgia Meloni e Sergio Mattarella?
Ecco una sintesi dell’articolo, firmato da Ignazio Mangrano, che, secondo il Post, “non è il nome di un giornalista, ma uno pseudonimo usato di frequente sul giornale quando si vuole occultarne l’autore”.
Francesco Saverio Garofani, consigliere per la difesa del Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella si è lasciato andare a una serie di considerazioni che, messe in fila, raccontano molto di più degli umori personali di un consigliere.
Raccontano la linea del Quirinale. E questa linea, oggi, è tutto fuorché tenera con il centrodestra.
Garofani dipinge un quadro chiaro. Se il contesto politico restasse quello attuale, Giorgia Meloni sarebbe destinata al Quirinale.
Lo dice quasi sorridendo, sì, ma come chi sta dicendo una cosa che lo preoccupa parecchio.
E soprattutto aggiunge un dettaglio non irrilevante: «In quell’area non c’è nessuno adeguato». Tradotto: Meloni e l’unica. E questa unicità, secondo il consigliere del Colle, sarebbe un problema.
Poi c’è il calendario, già definito. Si voterà nella tarda primavera del 2027, probabilmente maggio. Manca un anno e mezzo.
Speriamo che cambi qualcosa prima delle prossime elezioni, io credo nella provvidenza.
Verità e provvidenza

Ma al Colle – è questo il punto – non sembrano così convinti che il tempo basti a cambiare gli equilibri, se non interviene qualche provvidenziale scossone. Non a caso Garofani si lascia scappare un commento che racconta un mon-do: «Speriamo che cambi qualcosa prima delle prossime elezioni, io credo nella provvidenza.
Basterebbe una grande lista civica nazionale». Non proprio una dichiarazione di neutralità istituzionale. E ancora. Per la costruzione di un nuovo centrosinistra, un «nuovo Ulivo», Garofani vede in Ernesto Ruffini – ex grande capo dell’Agenzia delle Entrate, da qualche mese in campo – una pedina utile. Ma non ufficiente. «Serve un intervento ancora più incisivo di Romano Prodi», dice.
Rieccolo: Romano Prodi
L’ex Professore, che evidentemente per il Quirinale non è solo una reliquia, ma ancora un potenziale regista politico in grado di rimettere insieme i cocci di un’opposizione incapace di alzare lo sguardo oltre i propri litigi.
Il consigliere arriva anche toccare il terreno delle previsioni impossibili. Esagera perfino per gli standard dei retroscena: «Se non fosse morto, oggi il premier sarebbe David Sassoli o lo sarebbe dalla prossima legislatura”.
Una frase che peraltro è un’ammissione di debolezza degli attuali leader del cen-trosinistra: senza un leader moderato, europeo, rassicu-
cante per l’establishment, Ttalia ha preso un’altra di-ezione.
E quando uno così arriva a prefigurare Meloni al Quirinale come un incubo istituzionale e a invocare
«provvidenze» politiche contro il governo in carica, qualche domanda bisognerebbe porsela. Il Colle, insomma, non appare affatto indifferente al risiko politico che porterà al nuovo capo dello Stato. E sta osservando, valutando, probabilmente orientando.
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