Intervistato dalla Gazzetta dello Sport, Davide Lippi racconta con emozione il rapporto con il padre Marcello e la propria carriera: “Come sta papà? Tutto bene? E io: ‘Sì, bene, bene, ma non possiamo parlare dei giocatori?’”. Sorride, ma ricorda gli inizi difficili: “Comincio il mio primo calciomercato e per i ds sono il figlio di Lippi, non Davide l’agente. Non è facile… Non voglio dire di non aver trovato porte aperte grazie al mio nome, ma poi ho fatto tutto da solo”. Oggi Davide è un procuratore affermato. La svolta arrivò da una conversazione indimenticabile: “Papà mi chiama in spiaggia a Viareggio. ‘Ci sarebbe un’opportunità alla Juve, da manager, ma non potresti più giocare…’. Mi arrabbio, ci penso una settimana, poi accetto. Non gli parlo per mesi, ma aveva ragione: quella è stata la mia formazione”.
Del padre dice: “Non sempre è stato fisicamente presente, ma non ci ha fatto mancare nulla. Ha trasmesso valori forti, e poi c’era mamma, una fuoriclasse”. Ricorda con affetto anche l’uomo oltre l’allenatore: superstizioso, ironico, capace di legarsi profondamente alle persone e ai luoghi, da Cesena a Napoli. “A Posillipo fumava il sigaro e i pescatori lo chiamavano: ‘Ué, mistér, iamme a piscare’. Era felice”. E aggiunge con orgoglio: “Ha lasciato la Nazionale nel 2006 per proteggermi, sacrificando se stesso. Per me ha sempre scelto il ruolo di padre, non di ct. Il mio idolo? È lui, papà”.
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