Il tribunale di Cuneo è stato teatro di un acceso dibattito giudiziario legato a un episodio di violenza accaduto il 20 giugno 2023. Protagonista un 27enne di origine albanese residente a Fossano, accusato di aver aggredito un ragazzo con un pugno violento dopo averlo sentito pronunciare una frase affettuosa e aver visto un bacio sulla guancia tra due amici. L’episodio si è verificato in piazza Boves, cuore della movida cuneese, durante una tranquilla passeggiata tra amici per festeggiare un compleanno.
La vittima è stata colpita dietro l’orecchio destro, cadendo rovinosamente a terra e riportando una frattura alla clavicola, un trauma cranico e una prognosi medica di oltre 40 giorni. Durante l’aggressione, il 27enne avrebbe gridato “frocio di m…”, seguito da una serie di insulti rivolti anche a una ragazza presente, tra cui “putt…”. È stata proprio quest’ultima a fornire ai carabinieri le indicazioni utili per identificare l’aggressore.
Tuttavia, secondo il pubblico ministero, quegli insulti non bastano per qualificare l’episodio come aggressione omofoba. “Era una scusa fra mille altre”, ha affermato, ritenendo prevalente la volontà dell’imputato di “menare le mani”, piuttosto che discriminare. Il pm ha quindi chiesto una condanna a un anno di reclusione, senza applicare l’aggravante della discriminazione per orientamento sessuale.
Le reazioni in aula e i precedenti
La linea del PM è stata condivisa anche dal difensore dell’imputato, che ha ridimensionato il valore dell’insulto, definendolo un “insulto di comune utilizzo”. Al contrario, l’avvocato di parte civile ha insistito sulla matrice discriminatoria dell’aggressione, richiedendo un risarcimento danni di 15 mila euro per la vittima. La sentenza è attesa nei prossimi giorni.
La vicenda ha suscitato reazioni per via della sua somiglianza con un altro episodio avvenuto appena tre mesi prima, sempre nel centro di Cuneo. In quell’occasione, un trentenne di Sondrio era stato aggredito all’uscita di un locale per il suo orientamento sessuale. In quel processo, il tribunale aveva riconosciuto la finalità discriminatoria e applicato la relativa aggravante. L’imputato in quel caso era un uomo di origini nordafricane già noto alle forze dell’ordine.
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