Per le sole infrastrutture che trasportano gas verso il nostro Paese si stimano tra 3,2 e 3,9 miliardi di metri cubi di dispersioni all’anno. Legambiente e Nuova Ecologia presentano l’Osservatorio Metaneia
Si chiama Metaneia ed è il primo Osservatorio italiano sulle emissioni di metano nel settore energetico. Promosso da Legambiente con la media partnership di Nuova Ecologia, l’Osservatorio è stato presentato il 3 ottobre in concomitanza con l’inizio della seconda edizione della campagna “C’è puzza di Gas”, realizzata dall’associazione ambientalita con il supporto di Clean Air Task Force (Catf).
Che cos’è Metaneia
L’Osservatorio Metaneia punta a essere uno strumento che oltre ad arricchire le attività di conoscenza e informazione sulle dispersioni che coinvolgono le infrastrutture che fanno parte dell’intera filiera delle fonti fossili (dalle centrali elettriche, a quelle di compressione, ai gasdotti, ai pozzi estrattivi, impianti di stoccaggio), si pone l’obiettivo di diventare punto di riferimento in tema di emissioni di metano nel settore energetico in Italia, la cui incidenza, è pari al 17% rispetto al totale nazionale. L’abbattimento delle sole emissioni del settore energetico, a livello mondiale, potrebbe contribuire a contenere il cambiamento climatico dello 0.1°C rispetto all’obiettivo dell’1,5°C fissato al 2040, con un’incidenza di circa il 7%.
Il convegno di presentazione di Metaneia si è svolto oggi a Napoli presso la Facoltà di Scienze Chimiche dell’Università Federico II ed è stato trasmesso in diretta sul canale YouTube di Legambiente. Hanno partecipato il professor Luigi Paduano, direttore del Dipartimento di Scienze Chimiche; Mariateresa Imparato, presidente di Legambiente Campania; Fabio Montagnaro, professore in Impianti Chimici dell ‘niversità degli Studi di Napoli; Katiuscia Eroe, responsabile Energia di Legambiente; Adriano Della Bruna dell’Ufficio Energia di Legambiente; Brandon Locke, europe policy manager per il team di prevenzione dell’inquinamento da metano presso Clean Air Task Force; Tomás de Oliveira Bredariol, analista di Politiche Energetiche e Ambientali presso l’Agenzia internazionale dell’energia; Monia Procesi, ricercatrice dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (Ingv); Mariagrazia Midulla del Wwf Italia. Da remoto hanno partecipato anche il deputato Andrea Orlando del Pd con l’invio di un messaggio scritto, e la deputata Emma Pavanelli del M5S.
Italia hub del gas
L’Italia piuttosto che puntare sulle rinnovabili intende porsi come nuovo hub del gas verso l’Europa come dimostrano i massicci e crescenti investimenti del Governo in infrastrutture e accordi internazionali: dal raddoppio del gasdotto Tap alla Dorsale Adriatica Snam passando per dieci nuovi rigassificatori tra quelli approvati e in attesa di autorizzazione.
Una strategia energetica gas centrata che non sembra però considerare il problema degli sprechi del gas stesso legati alle emissioni di metano che si sviluppano lungo l’intera filiera delle fonti fossili. Dispersioni stimate, da alcuni studi, intorno ai 3,2-3,9 miliardi di metri cubi di gas l’anno per le sole infrastrutture che trasportano gas verso l’Italia, numeri simili alla produzione nazionale di gas o all’aumento di importazioni previsto da nuovi accordi con Paesi come l’Algeria.
Perdite legate spesso a scarsa manutenzione, a problemi strutturali o a pratiche di venting e flaring, che rappresentano un enorme spreco di risorse, oltre che una grave minaccia per il clima. Il metano è infatti un gas fino a 86 volte più climalterante dell’anidride carbonica. Considerando le emissioni dell’intera filiera delle fossili, in un orizzonte temporale di 20 anni, invece che di 100, le emissioni climalteranti derivanti dall’uso di gas fossile se paragonate a quelle derivanti dall’uso del carbone possono essere tra il 55% e il 66% maggiori.
“È paradossale che un Paese come l’Italia che potrebbe affermarsi come hub delle rinnovabili per l’Europa, scelga la via totalmente in antitesi con gli obiettivi di decarbonizzazione, puntando a diventare hub del gas – dichiara Katiuscia Eroe, Responsabile Energia di Legambiente – E lo fa oltretutto senza conoscere quelli che sono gli sprechi che ruotano intorno alla risorsa principale sulla quale si fonda l’intera impalcatura della strategia energetica di questo Paese. Sprechi che incidono sulla strategia energetica e climatica e che oggi, con gli strumenti e le conoscenze che ci sono, non possono più essere accettabili. Soprattutto se consideriamo che spesso, come testimoniamo le varie indagini condotte in questi anni, queste sono legate anche alla scarsa o mancata manutenzione. Per questo siamo convinti che sia necessaria una regolamentazione stringente sia a livello internazionale che nazionale. Con normative adeguate e che obblighino le imprese a controlli frequenti e interventi su tutte le fuoriuscite. A maggior ragione dal momento in cui, con i prezzi del gas del 2022, l’80% delle misure per contenere le emissioni di gas fossile sarebbero a costo netto zero, proprio grazie al gas non sprecato. Nonostante ciò, il tema delle emissioni di metano continua ad essere sconosciuto e non affrontato”.
Le richieste di Legambiente
Per invertire la rotta sono quattro gli ambiti d’intervento identificati e riportati da Legambiente anche all’interno di Metaneia:
- l’obbligo di introdurre standard sulle importazioni, uno degli elementi più strategici su cui si sta facendo molta pressione a livello europeo rispetto al Regolamento che verosimilmente sarà deliberato entro la fine dell’anno. Secondo la Commissione Europea, tra il 75 e il 90% delle emissioni di metano associate con i consumi energetici in Europa, si verificano al di fuori dei confini comunitari. Secondo uno studio di Capterio, in Nord Africa, recuperando il gas fossile sprecato tra flaring, venting e perdite in un anno, l’Unione Europea avrebbe potuto recuperare nel giro di 12-24 mesi circa il 15% del gas importato dalla Russia rispetto ai livelli precedenti al 2022. Solamente in Algeria e Libia, verrebbero sprecati circa 18,5 miliardi di metri cubi di gas ogni anno;
- l’urgenza di introdurre misure che obblighino le imprese a misurare e comunicare i dati di emissioni di gas metano almeno una volta l’anno ad un soggetto competente e rendendoli pubblici
- l’obbligo di identificare criteri, modalità e standard che regolamentino le attività di rilevamento e riparazione delle perdite (LDAR). Attività, che secondo la US EPA, se fossero condotte ogni sei mesi ridurrebbero le perdite al 67%, percentuale che aumenterebbe al 90% se fossero fatte ogni mese;
- il divieto di adottare pratiche quali il “venting” ed il “flaring” tra le più inquinanti utilizzate in molti siti industriali. In questa direzione importante è anche dare seguito e risposte alla Proposta di Legge presentata dal senatore Michele Fina (Pd) per approfondire e valutare l’impatto delle fuoriuscite di gas fossile dalle infrastrutture a gas e all’interrogazione scritta a prima firma dalla deputata Emma Pavanelli (M5S) rivolta al MASE per chiedere interventi immediati e urgenti necessari a monitorare, controllare e manutenere gli impianti fossili con l’obiettivo di ridurre e azzerare le emissioni di metano.
C’è puzza di gas: la seconda edizione
Sono sette gli appuntamenti della seconda edizione della campagna “C’è puzza di gas”. Dopo Napoli, da cui ha preso avvio, si scende in Puglia a dicembre, seconda ed ultima tappa del 2023. Volgendo lo sguardo al 2024, gli altri 5 appuntamenti saranno: Abruzzo, a febbraio; Emilia-Romagna a marzo; Friuli-Venezia Giulia ad aprile ed infine Lombardia e Piemonte a maggio.