Gas metano in eccesso

La nave rigassificatrice "Golar Tundra" a Piombino

Per la transizione energetica non sono necessarie altre infrastrutture

di FRANCESCA ANDREOLLI, Ricercatrice Senior di ECCO – Think Tank italiano per il clima

La crisi energetica del biennio 2022-2023 ha posto l’Unione europea – Italia inclusa – di fronte alla necessità di emanciparsi con urgenza da rischiose dipendenze energetiche. Dopo la rottura del legame energetico con la Russia, l’Europa ha dato avvio a un preciso piano d’azione, il REPowerEU, col l’obiettivo di affrancarsi dal suo storico fornitore e raggiungere la completa autonomia da Mosca ben prima del 2030. Tale strategia, elaborata nella primavera del 2022, si fonda da una parte sulla diversificazione delle forniture e dall’altra sull’incremento di rinnovabili ed efficienza energetica, in un’ottica di riduzione della domanda interna nel breve e di uscita della dipendenza da fonti fossili nel medio-lungo periodo. Vista la sua posizione strategica all’interno del Mediterraneo, che ruolo può giocare l’Italia? Qual è la prospettiva di trasformarsi da Paese storicamente importatore a esportatore verso l’Europa?
All’interno del nuovo quadro energetico, diretta conseguenza delle molteplici instabilità geopolitiche – invasione russa in Ucraina; crisi israelo-palestinese – e dal consolidamento delle politiche per il clima, si è tornati a parlare dell’Italia come possibile hub del gas per l’Europa. Spinti dalla necessità di trovare nuovi fornitori, i governi europei hanno individuato nel Mediterraneo e nel continente africano alternative strategiche alla partnership con Mosca, in cui l’Italia potrebbe giocare un ruolo di primo piano nella sicurezza energetica europea.

Diversificazione

Tuttavia, come suggerito dal piano REPowerEU, le azioni di diversificazione delle fonti di approvvigionamento – e quindi le ipotesi di nuovi investimenti in infrastruttura gas – devono tenere presente sia l’evoluzione della domanda (di gas) in seguito allo sviluppo delle rinnovabili, dei processi di elettrificazione, dell’efficienza energetica sia gli strumenti di gestione del sistema di stoccaggio e dei picchi di domanda. Infatti, è stata proprio la combinazione di queste opzioni che ha permesso all’Europa di superare la crisi del biennio 2022-2023.
L’infrastruttura esistente è stata in grado di coprire il fabbisogno di gas senza necessità di alcun taglio della domanda. Ormai l’Italia ha quasi completamente sostituito le importazioni russe. Nel 2023 dal punto di entrata a Tarvisio abbiamo importato solamente 2,8 miliardi di m3 di gas, ossia il 90% in meno rispetto ai 29 miliardi del 2021. In aumento le entrate via tubo dall’Algeria – nel 2023 pari a 23 miliardi di m3, + 2 miliardi rispetto al 2021, con un potenziale di crescita di altri 7 miliardi dati gli accordi siglati tra Eni e Sonatrach. Dall’Azerbaigian attraverso il TAP (Trans Atlantic Pipeline) importiamo la massima capacità pari a 10 miliardi di m3/anno, mentre sono lievi le variazioni dalla Libia (2,5 miliardi di m3 nel 2023) e dal Nord Europa attraverso Passo Gries (6,5 miliardi di m3 nel 2023). Il gas naturale liquefatto (GNL) ha assunto un ruolo centrale nel nuovo assetto di mercato. L’Italia ha aumentato le importazioni di GNL del 70% tra 2021 e 2023, passando da 9,8 miliardi di m3 a 16,6 miliardi l’anno nel 2023. Di queste solo 1,2 miliardi di m3 di GNL sono arrivate al nuovo rigassificatore offshore di Piombino, in autorizzazione temporaneamente fino al 2026 e di cui si sta valutando lo spostamento a Vado Ligure per un’operatività di 22 anni. Se si aggiungono i 2,8 miliardi di m3 di produzione nazionale, l’Italia ha immesso nella rete nazionale oltre 63 miliardi di m3 di gas.
Con il rigassificatore offshore a Ravenna – in realizzazione e già autorizzato per oltre vent’anni –l’infrastruttura gas esistente è in grado di immettere in rete circa 62 miliardi di m3 all’anno, a cui aggiungere circa 3 miliardi di m3 di produzione nazionale. Questo, senza contare le entrate dalla Russia e dal Nord Europa, nell’ipotesi che quest’ultime siano strettamente necessarie alla copertura della domanda di altri paesi europei e senza includere lo spostamento del terminale di GNL da Piombino a Vado Ligure.

La riduzione della domanda di gas ha permesso di superare la crisi. Domanda che in due anni è scesa di oltre 14 miliardi di m3, fermandosi nel 2023 a 61,5 miliardi. Dei 7,2 miliardi in meno del 2023, 4,4 sono dovuti al settore termoelettrico, 2,2 alla rete di distribuzione – edifici residenziali, commercio e servizi, piccole e medie imprese – e 0,5 all’industria. Nel caso delle reti di distribuzione, il calo più importante si è registrato nei mesi autunnali e invernali, a testimoniarne la trazione dell’uso per riscaldamento, aiutato da un caldo anomalo nei mesi freddi, oltreché da una più generale propensione al risparmio energetico e da un ancora diffuso ricorso a interventi di efficienza energetica – oltre 9 TWh di risparmio grazie agli interventi incentivati con il Superbonus nel 2022. Il dato termoelettrico testimonia diminuzioni particolarmente incisive del fabbisogno di gas dovuto a un accelerato sviluppo delle rinnovabili, cresciute di 3 GW nel 2022 e di 5,7 GW nel 2023, e una loro maggior produttività (+15,4% nel 2023 rispetto al 2022) con una forte ripresa della generazione idroelettrica (+36% tra 2023 e 2022 secondo dati Terna).

Secondo Elettricità Futura, per ogni GW di rinnovabili installate si riduce di 0,25 miliardi di m3 la domanda di gas nel settore elettrico. L’Italia nella bozza di aggiornamento del Piano Nazionale Integrato per l’Energia e il Clima ha l’obiettivo di installare addizionali 64 GW entro il 2030, che, stando ai dati precedenti, porterebbero la domanda termoelettrica a ridursi di ulteriori 16 miliardi di m3.

Una recente analisi del Think Tank Ember “European Electricity Review 2024” evidenza come, in Europa, la crescita delle rinnovabili abbia determinato una caduta senza precedenti della produzione elettrica da carbone (-26%) e gas (-19%), con un’importante riduzione delle emissioni di gas serra (-19%). Per la prima volta la produzione eolica ha superato quella a gas. In un mercato caratterizzato dalla volatilità del prezzo delle fossili, le rinnovabili si stanno affermando come la soluzione più efficiente e competitiva a garantire la sicurezza economica dei Paesi europei.

In Europa lo sviluppo delle rinnovabili ha drasticamente diminuito l’uso di carbone e gas naturale

Questi dati, a due anni dall’inizio della crisi e con un consumo di gas sceso in Europa ai livelli più bassi degli ultimi dieci anni, impongono una valutazione rispetto a quanta nuova infrastruttura gas sia necessaria per garantire un approvvigionamento indipendente dalle forniture russe e prezzi energetici competitivi rispetto ai mercati internazionali. Realizzare un sistema efficiente e competitivo significa assicurarsi che lo sviluppo dell’infrastruttura non prevalga sulle effettive esigenze di domanda di gas nazionale ed europea. Al contrario, il rischio economico e finanziario determinato da investimenti inefficienti (il mancato utilizzo delle infrastrutture gas li renderebbe non remunerativi) andrebbe a gravare sulle spalle di realtà che più lentamente riusciranno a emanciparsi dalle fonti fossili – per esempio le imprese cosiddette hard to abate. In altri termini, offrire garanzie pubbliche a infrastrutture che si rivelano non di pubblico interesse implica ridurre le risorse necessarie alle politiche di decarbonizzazione, fondamentali per costruire la competitività futura e fornire agli investitori sicurezza rispetto ai rischi climatici.
Un esempio di investimento in nuova infrastruttura gas che non arriverà nel breve termine e che resterà potenzialmente operativa, e in ogni caso da ripagare, per molti anni, sono i rigassificatori onshore a Porto Empedocle e Goia Tauro, definiti «strategici» dal Governo a inizio 2024 (DL 181/2023).

Capacità sufficiente

Secondo un nostro recente studio, nell’ipotesi di un azzeramento delle forniture russe, l’infrastruttura attuale, che comprende il terminale di GNL a Ravenna, al 2030 è sufficiente per soddisfare una domanda italiana di gas in linea con la bozza di aggiornamento del PNIEC (58 miliardi di m3) e al contempo esportare 7 miliardi di m3 verso l’Europa (Scenario FF55 – Figura 1). I nuovi progetti in discussione – lo spostamento del rigassificatore a Vado Ligure, l’ampliamento della capacità di importazione del TAP e la linea Adriatica – risultano necessari solo in uno scenario di domanda che, riprendendo le stime dello scenario “Late Transition” di Snam-Terna, non rispetta gli accordi internazionali sul clima e prevede al 2030 un fabbisogno superiore a quello del 2023 (Scenario LT – Figura 2). Al contrario, una domanda di gas più bassa, pari a 48 miliardi di m3 al 2030 (Scenario G7 in Figura 2), determinata dalla sostanziale decarbonizzazione del settore elettrico al 2035, come il Governo italiano si è impegnato a realizzare al G7 nel 2022, determina un tasso di utilizzo della capacità di rigassificazione inferiore al 40%. Sempre garantendo gli stessi volumi in esportazione.
In sostanza, in un percorso coerente con gli obiettivi climatici, l’infrastruttura attuale assicura margini di riserva tali da garantire un sistema energetico sicuro dal punto di vista dei volumi e dei prezzi. La piena integrazione tra rinnovabili, efficienza energetica ed elettrificazione dei consumi fornisce i minori rischi in termini di sicurezza, non solo energetica, ma anche climatica ed economica.
Secondo i nostri dati, al 2030, i volumi in esportazione dall’Italia verso l’Europa non superano i 9 miliardi di m3/anno, anche nel caso di massimo sviluppo infrastrutturale. Questo è il perimetro massimo entro il quale definire l’Italia come hub del gas, a fronte della completa sospensione delle forniture russe e della non realizzazione di ulteriori infrastrutture gas rispetto a quelle già autorizzate in Europa. Volume che già nello scenario di domanda intermedia di gas si riduce sensibilmente attorno ai 2 Mld m3/a al 2040.
La linea Adriatica che dovrebbe aumentare la capacità di trasporto sud-nord di circa 30 milioni di m3/giorno verrà utilizzata solo nel caso di domanda di gas più alta. Negli altri scenari i volumi in importazione da sud non ne giustificano la realizzazione.
Per quanto riguarda i terminali fissi a Goia Tauro e Porto Empedocle neanche con lo scenario di domanda massima verranno mai utilizzati, né per l’approvvigionamento italiano né per liberare volumi da esportare all’estero. Al contrario, le simulazioni che vedono una crescita della capacità di rigassificazione europea superiore agli impianti ready-to-build, includendo quindi Gioia Tauro e Porto Empedocle, evidenziano un minor utilizzo dei terminali italiani e ridotti volumi in esportazione. È chiaro quindi il rischio di sovrabbondanza di investimenti infrastrutturali.

Concorrenza in atto

Inoltre, una maggiore capacità di rigassificazione in Germania o in altri paesi del Nord Europa aumenta l’esposizione dell’export italiano alla competizione europea.  A livello internazionale tali considerazioni devono contribuire alla definizione di nuovi accordi per l’acquisto di gas, e della strategia per il Piano Mattei, ancora ambigua circa il concetto di «hub energetico».

La messa in discussione della sicurezza energetica non è dovuta a ragioni tecniche ma a questioni geopolitiche. Proprio per questo, anche un aumento significativo dell’infrastruttura gas non assicurerebbe l’eliminazione del rischio di approvvigionamenti. Basti pensare all’instabilità legata alla rotta del Mar Rosso o alla situazione geopolitica in Azerbaijan e Qatar, che potrebbero determinare riduzioni di forniture di gas e nuovi rialzi di prezzo. Al contrario, eccessivi investimenti in capacità incrementano esponenzialmente il rischio di stranded cost. Rischio che verrebbe ulteriormente amplificato nel caso di riapertura dei flussi libici e/o russi o nel caso di raggiungimento degli obiettivi ambientali.

Nella definizione del perimetro italiano di hub del gas le scelte del Governo non devono risolversi in un’ipertrofia di nuovi investimenti in gas. Il risultato è l’esposizione del sistema energetico a nuovi rischi aventi ricadute negative su contribuenti e imprese, e la distrazione di risorse sia pubbliche che private dallo scenario di decarbonizzazione, l’unico capace di coniugare sicurezza energetica e climatica anche a fronte di instabilità geopolitiche.

Questo articolo è tratto dal numero di Giugno-Luglio del bimestrale Qualenergia
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