Il thriller e il giornalismo condividono un legame indissolubile che ha attraversato decenni di cinema, dando vita ad alcuni dei film più incisivi e memorabili della storia. Non è un caso. Il giornalismo investigativo vive di tensione, segreti sepolti, rivelazioni che cambiano il corso degli eventi. Esattamente come i thriller più riusciti. Dalla paranoia degli anni ’70 ai cinismi digitali del nuovo millennio, il quarto potere è diventato la cornice perfetta per esplorare corruzione, ossessione, potere e verità.
Quello che rende questi film così speciali è la varietà sorprendente che riescono a offrire pur rimanendo fedeli a un nucleo tematico comune. Non esistono due thriller sul giornalismo identici. Alcuni celebrano l’eroismo silenzioso dei reporter che sfidano il potere, altri ne smascherano le ipocrisie e le ambiguità morali. Alcuni ti lasciano con la speranza che la verità possa ancora fare la differenza, altri ti stringono lo stomaco mostrandoti quanto sia fragile il confine tra informazione e manipolazione.
1. State of Play

State of Play, uscito nel 2009, rappresenta un omaggio dichiarato ai thriller politici degli anni ’70, quella stagione d’oro che aveva trasformato Watergate in epopea cinematografica. Russell Crowe interpreta un giornalista che indaga sull’omicidio dell’assistente di un deputato, scoprendo una cospirazione che si estende ben oltre l’apparenza. Il film è costruito con precisione chirurgica: ogni rivelazione è calibrata, ogni colpo di scena misurato.
Crowe porta sul grande schermo un giornalista old school, sporco di strada e idealista quanto basta, in un’epoca in cui il giornalismo stava già mutando pelle sotto i colpi della crisi economica e della rivoluzione digitale. Nonostante l’accoglienza critica positiva, State of Play non ha avuto il successo commerciale che meritava, finendo per essere dimenticato troppo in fretta nel panorama affollato del cinema di fine anni Duemila.
2. Uomini che odiano le donne

Quando David Fincher ha deciso di adattare per il cinema Uomini che odiano le donne, il primo capitolo della Millennium Trilogy di Stieg Larsson, sapeva di avere per le mani un materiale esplosivo. Uomini che odiano le donne del 2011 non è un thriller sul giornalismo in senso stretto, ma il protagonista Mikael Blomkvist è un ex giornalista finanziario caduto in disgrazia, assunto per risolvere un cold case che dura da decenni. Il giornalismo qui è più che una professione, è un metodo: quello della ricerca ossessiva della verità, dell’inchiesta che scava dove gli altri non osano guardare.
Fincher costruisce il film con il suo stile visivo inconfondibile, fatto di luci fredde e inquadrature che sembrano sempre nascondere qualcosa fuori campo. Il ritmo è lento, meditativo, ma la tensione non cala mai. È un film che non ti imbocca le risposte, che ti costringe a confrontarti con zone d’ombra scomode, lasciando che l’orrore aleggi più nelle implicazioni che nelle scene esplicite.
3. Lo sciacallo – Nightcrawler

Poi arriva Lo sciacallo nel 2014, e con esso la consapevolezza disturbante che il giornalismo può essere anche qualcosa di mostruoso. Jake Gyllenhaal interpreta Lou Bloom, un disoccupato sociopatico che scopre il mondo degli stringers, i freelance che filmano scene del crimine e incidenti per venderle ai notiziari locali. Non c’è idealismo qui, non c’è missione sociale. C’è solo la caccia all’immagine più violenta, più scioccante, quella che farà impennare gli ascolti.
Lo sciacallo è un film che gronda neo-noir da ogni inquadratura, con Los Angeles notturna che diventa un inferno al neon dove la moralità è un lusso che nessuno può permettersi. Il film sfida frontalmente l’idea che il giornalismo sia sempre una forza positiva, mostrando come il sensazionalismo e la corsa all’audience possano trasformare l’informazione in spettacolo del dolore. Nell’era dei social media, delle fake news e del clickbait, Lo sciacallo suona come una profezia già avverata.
4. L’inventore di favole

L’inventore di favole del 2003 è il film che i giornalisti dovrebbero guardare almeno una volta nella vita. Basato sulla vera storia di Stephen Glass, giovane talento del giornalismo americano che ha falsificato decine di articoli per The New Republic, il film esplora il tradimento della fiducia da un punto di vista interno alla professione. Hayden Christensen offre la migliore interpretazione della sua carriera nei panni di Glass, un ragazzo ambizioso e insicuro che costruisce castelli di bugie sempre più elaborati pur di mantenere la sua reputazione. Non ci sono complotti internazionali o killer seriali.
La posta in gioco è più sottile ma non meno devastante: la credibilità, l’etica, il contratto non scritto tra chi racconta i fatti e chi li legge. L’inventore di favole è riuscito nell’impresa di trasformare una storia di fraud giornalistico in un thriller dal ritmo serrato, dove ogni scena aggiunge un pezzo al puzzle della menzogna. Il film è anche una riflessione dolorosa sulla disgregazione della verità nel clima politico degli anni Duemila, quando i fatti hanno iniziato a diventare opinioni negoziabili.
5. Diritto di cronaca

Diritto di cronaca del 1981 è uno di quei gioielli sottovalutati che meritano più attenzione di quella che hanno ricevuto. Sally Field interpreta una giovane reporter ingenua che viene manipolata da un investigatore federale: pubblica una storia su un uomo accusato di un crimine, solo per scoprire troppo tardi le conseguenze devastanti che un articolo può avere sulla vita di una persona. Il film è una lezione di complessità narrativa, che scava nei dettagli tecnici del giornalismo e del diritto senza mai risultare pesante.
Merito soprattutto delle interpretazioni straordinarie di Field e Paul Newman, che portano umanità e profondità emotiva in una storia che poteva facilmente scivolare nella predica moralista. Diritto di cronaca funziona sia come thriller giudiziario sia come dramma sul potere dell’informazione, dimostrando che non servono esplosioni o inseguimenti per tenere lo spettatore incollato allo schermo.
6. Quinto potere

Quinto potere del 1976 rimane una pietra miliare, uno di quei film che definiscono un’epoca e continuano a parlare alle generazioni successive con lucidità profetica. La storia di un conduttore televisivo che, sull’orlo del licenziamento per calo di ascolti, lancia uno sfogo in diretta che lo trasforma in fenomeno nazionale. Il film satirizza il giornalismo televisivo con ferocia chirurgica, anticipando derive che oggi diamo per scontate: l’informazione come intrattenimento, la spettacolarizzazione della cronaca, la corsa all’audience a tutti i costi.
Candidato a nove premi Oscar e vincitore di quattro, Quinto potere è un thriller che è anche commedia nera, satira sociale e manifesto contro la mercificazione dell’informazione. A distanza di quasi cinquant’anni, le sue previsioni continuano ad avverarsi con puntualità inquietante.
7. Zodiac

Zodiac del 2007 è probabilmente il film più ambizioso di questa lista, un’opera che ha ridefinito il modo di raccontare le true crime al cinema. David Fincher ricostruisce la caccia al serial killer Zodiac che terrorizzò la California tra la fine degli anni ’60 e i ’70, dividendo il focus tra gli investigatori e i giornalisti del San Francisco Chronicle ossessionati dal caso. Il film è un capolavoro di struttura narrativa: invece di forzare conclusioni su un caso mai risolto, Fincher sceglie di mostrare l’ossessione, la paranoia, il lento sgretolarsi delle vite di chi insegue fantasmi.
Jake Gyllenhaal interpreta il fumettista Robert Graysmith, che da semplice spettatore si trasforma in investigatore dilettante, sacrificando famiglia e stabilità mentale sull’altare di una verità che forse non troverà mai. Zodiac è considerato da molti il miglior film sui serial killer mai realizzato, anche perché rifiuta ogni forma di glamourizzazione del mostro. È un film sulla paura collettiva, sulla frustrazione dell’impotenza, e su come il bisogno di dare un senso al caos possa divorarti dall’interno. In alcuni momenti sfiora l’horror puro, trasformando il giornalismo investigativo in una discesa negli abissi.
8. Perché un assassinio – The Parallax View

Perché un assassinio del 1974 nasce nel momento di massimo splendore del giornalismo investigativo americano. Watergate aveva appena dimostrato che due reporter potevano far cadere un presidente, e il cinema rispondeva con thriller paranoici che esploravano le zone d’ombra del potere. Il film racconta di un giornalista che indaga sull’assassinio di un candidato politico, scoprendo l’esistenza di una corporazione segreta che manipola gli eventi dall’ombra.
La regia è quasi hitchcockiana nel costruire la tensione, e il film non fa sconti allo spettatore: la politica è sporca, il potere è invisibile ma onnipresente, e la verità è un lusso pericoloso. Tra tutti i thriller politici degli anni ’70, Perché un assassinio si distingue per l’approccio diretto e per il modo in cui mette il giornalismo al centro della narrazione, trasformandolo in atto di resistenza contro forze più grandi dell’individuo.
Quello che lega tutti questi film, al di là delle differenze stilistiche e temporali, è la consapevolezza che il giornalismo non è mai neutro. È uno strumento di potere, nel bene e nel male. Può illuminare gli angoli bui della società o manipolare le masse, può dare voce agli emarginati o amplificare la propaganda. I migliori thriller sul giornalismo sono quelli che non semplificano questa complessità, che mostrano reporter come persone fragili, ossessionate, a volte eroiche e a volte complici. Sono film che ci ricordano quanto sia importante fare domande scomode, ma anche quanto possa essere pericoloso credere di avere tutte le risposte.
L’articolo Gli 8 thriller sul giornalismo che hanno cambiato per sempre il cinema moderno (alcuni sono capolavori dimenticati) proviene da ScreenWorld.it.
