Greenpeace rischia la bancarotta. Condanna per 660 milioni di dollari ai danni di una società fossile in Usa

Nel 2016 e 2017 attivisti e nativi protestarono contro la realizzazione del Dakota Access Pipeline che trasporta il 5% della produzione giornaliera di petrolio degli Stati Uniti. Per la giuria popolare fu violazione di proprietà privata, diffamazione e associazione a delinquere

La sentenza è destinata a far discutere. Negli Stati Uniti una giuria del tribunale di Mandan, in North Dakota, ha stabilito che Greenpeace dovrà pagare 660 milioni di dollari di danni a Energy Transfer, società texana che si occupa di trasporto e stoccaggio di combustibili fossili. L’azienda aveva fatto causa all’organizzazione ambientalista per circa 300 milioni di dollari, cifra che nel verdetto addirittura raddoppia.

La vicenda prende il via dalle proteste del 2016 e 2017 contro la realizzazione del Dakota Access Pipeline, che serve a portare il greggio dal North Dakota all’Illinois attraverso South Dakota e Iowa. Un’infrastruttura chiave, da dove passa il 5% della produzione giornaliera di petrolio degli Stati Uniti. La costruzione dell’oleodotto sotterraneo era stata ferocemente contestata dagli abitanti di una riserva Sioux, Standing Rock, dove in quegli anni si concentrarono le proteste. Secondo i nativi americani, il Dakota Access Pipeline avrebbe inquinato le acque del Missouri, loro principale fonte idrica, e danneggiato le loro terre sacre. Il percorso venne poi deviato, ma nel frattempo alle proteste si erano già unite migliaia di persone – membri di altre tribù, ambientalisti, celebrità – in una delle più grandi proteste ambientaliste della storia americana.

“Associazione a delinquere”

La causa a Greenpeace, accusata da Energy Transfer di aver guidato le proteste, aver fatto disinformazione e aver danneggiato l’azienda, risale al 2019. A sei anni di distanza, l’ong è stata giudicata colpevole di violazione di proprietà privata, diffamazione e associazione a delinquere. La giuria ha stabilito che a dover pagare la maggior parte dei danni, 404 milioni di dollari, sarà Greenpeace Usa, mentre Greenpeace fund inc. e Greenpeace International dovranno pagare circa 131 milioni a testa. Un verdetto durissimo per l’ong, che aveva già dichiarato che una condanna avrebbe rischiato di farla finire in bancarotta.

Greenpeace, che sostiene di aver avuto un ruolo marginale nelle proteste guidate dalla tribù Sioux di Standing Rock, ha denunciato che cause come questa sono pensate per limitare il diritto alla libertà di parola e quello a riunirsi per protestare in maniera pacifica: diritti sanciti dal primo emendamento della Costituzione statunitense. In un comunicato stampa, annunciando ricorso, Greenpeace ha accusato i “bulli del settore del petrolio” di voler mettere a tacere le loro proteste. Ma “la lotta non è finita”, scrivono, il lavoro di Greenpeace “non si fermerà mai”.

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