
La questione generazionale sul clima è falsa e controproducente
di KARL LUDWIG SHIBEL
La presenza e la predominanza di persone giovani, per lo più donne, nei movimenti per il clima viene considerata da Paola Imperatore un’importante e incoraggiante novità (L’era della giustizia climatica). La conclusione che i giovani ci salveranno rende loro un disservizio per due ragioni. I giovani hanno contribuito poco al problema a causa della loro tenera età. La loro impronta di carbonio è più bassa di quella dei grandi. E poi hanno meno possibilità di intervenire. Molti non possono ancora votare e non decidono nemmeno sul nuovo impianto di riscaldamento in casa.
Non sorprende quindi che nonostante movimenti come Fridays for Future e The Last Generation per la grande maggioranza dei giovani tra 11 e 29 anni i cambiamenti climatici, pur essendo una preoccupazione, si collocano solo al quinto posto. Al primo, si trovano l’inflazione e la minaccia della povertà in vecchiaia. Almeno è questo il risultato della ricerca dello studioso Simon Schnetzer che nota un crescente pessimismo tra le duemila persone che ogni anno partecipano alla sua inchiesta. Pessimismo e mancanza di speranza abitano però non solo tra le giovani generazioni. I Colloqui di Dobbiaco 2024, che si svolgeranno a fine settembre nell’Alta Val Pusteria (www.colloqui-dobbiaco.it), parleranno di “Speranza contro ogni speranza”, per ascoltare quelli che non coltivano un pessimismo quietista, perché qualsiasi azione è comunque inutile, ma neanche un ottimismo che si fida degli imminenti miracoli tecnologici, dal nucleare alla geo-ingegneria. Praticano, per esempio, una sana speranza attivista le Anziane per il Clima della Svizzera (anziane-clima.ch). A inizio aprile, la Grande Camera della Corte europea dei diritti dell’uomo ha decretato che, non facendo il necessario contro il crescente riscaldamento globale, la Svizzera viola i diritti delle donne più anziane. Il tribunale ha riconosciuto lo status di vittima all’associazione Anziane per il Clima, che conta oltre 2.500 aderenti. L’età media è 75 anni e sono ben consapevoli che le aspetta un impegno di lunga durata.
La prassi climatica è ancora agli inizi; è vero che i primi segnali di allarme risalgono al 1965, mentre nel 1988 con il primo rapporto dell’IPCC le idee sugli impatti divennero più chiare e specifiche. Però, senza sminuire minimamente le manovre criminali di Exxon Mobil e altri di disinformazione e ostruzione, documentate da Naomi Oreskes in “Mercanti di Dubbi”, sarebbe troppo semplice imputare loro tutta la colpa per la lenta evoluzione di politica e prassi del clima. Ulrich Beck, Anthony Giddens, la stessa Oreskes e molti altri hanno cercato di spiegare la lenta evoluzione della consapevolezza generale della dimensione e profondità della trasformazione climatica. “La Società del Rischio” di Beck del 1986 parla della gestione e mitigazione dei rischi creati dalle società industriali stesse. Con il suo “Giddens Paradox” invece il sociologo descrive le difficoltà di diventare attivi contro una minaccia né tangibile, né immediata. Il che forse oggi con l’aumento degli eventi meteorologici estremi non è più vero.
Ci sono delle ragioni – non buone, ma ci sono – per le quali il radicamento di una consapevolezza diffusa a favore di azioni climatiche avviene in un processo lento che conosce anche periodi di regressione. Anche se sono passati quasi 60 anni dai primi segnali d’allarme sul clima, ci sono voluti decenni perché emergessero le dimensioni tecnologiche, economiche e sociali di questo processo epocale. L’immagine dei vecchi che hanno fallito e dovrebbero vergognarsi è falsa e controproducente tanto quanto quella dei giovani che saranno la salvezza.
Questo articolo è tratto dal numero di Giugno – Luglio del bimestrale Qualenergia
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