Il giudice che assolse Alberto Stasi: “C’era qualcosa che puzzava, mancava la prova che lo incastrasse”

“Per il quadro dell’accusa, e parlo ovviamente del primo grado, su Alberto Stasi c’era qualcosa che puzzava, detto con orribile termine da film poliziesco, ma sembrava mancare qualcosa che lo incastrasse”. A parlare è Stefano Vitelli, il giudice viareggino che in primo grado decise di assolvere Alberto Stasi, il giovane, oggi 41enne, condannato per l’omicidio della fidanzata Chiara Poggi il 13 agosto 2007.

Stasi venne assolto per due volte e poi, dopo il processo d’Appello bis, condannato definitivamente a 16 anni. L’ex studente bocconiano si è sempre dichiarato innocente e sta scontando la sua pena nel carcere di Bollate, da cui esce per lavorare. In un’intervista al Corriere, il giudice Vitelli ha ripercorso le ragioni di quella sentenza.

“Non conosco – ha detto Vitelli – gli atti dei successivi gradi di giudizio, figuriamoci se mi metto a parlare di un’inchiesta in corso. Ma non bisognerebbe mai dimenticare quanto il ragionevole dubbio sia importante, per noi magistrati e per l’opinione pubblica (…) C’erano indizi, ma contraddittori e insufficienti”.

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Il giudice che assolse Alberto Stasi: “C’era qualcosa che ‘puzzava’, sembrava mancare qualcosa che lo incastrasse” – Blitz Quotidiano

Delitto di Garlasco: i nuovi indizi su Andrea Sempio

Dopo 18 anni ora si indaga di nuovo sul caso Poggi. L’11 marzo 2025 si è scoperto infatti che un amico del fratello minore di Chiara, Andrea Sempio (già entrato e uscito dalle indagini del delitto di Garlasco) è stato nuovamente indagato per la morte della donna. Sul tavolo c’è di nuovo il DNA trovato sulle unghie della vittima, incompatibile con quello di Alberto Stasi, su cui ora si lavora seguendo metodi e tecniche di nuova generazione. L’accusa per Sempio è di omicidio in concorso con ignoti o con lo stesso Stasi. Una settimana prima, raggiunto dall’informazione di garanzia, si era rifiutato di sottoporsi all’esame salivare e al tampone, poi disposti in modo coattivo.

A questo si è aggiunta la necessità di comparare le impronte, quelle delle scarpe e quelle digitali, lasciate dall’assassino sulla scena del crimine e di sviluppare alcuni indizi, come le tre telefonate sospette di Scempio e il biglietto di un parcheggio che potrebbe essere servito dall’indagato per la precostituzione di un alibi.

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