La vicenda di Michele D’Angelo, il professore universitario italiano detenuto in Albania da più di un mese per un incidente stradale

È detenuto da agosto in un carcere albanese il professor Michele D’Angelo, 44 anni, docente di biologia all’Università dell’Aquila, dopo un incidente stradale avvenuto ad agosto nei pressi di Tirana. L’uomo era alla guida di una Lancia Ypsilon quando è stato centrato da un altro veicolo alla cui guida c’era un albanese. L’incidente è avvenuto in località Qafa a Kosovices, nei pressi di Fier ed ha provocato il ferimento di quattro persone, una delle quali è poi deceduta. Il professore stava viaggiando a non più di 40 chilometri orari mentre l’altra vettura procedeva a velocità più elevata. Nonostante questo, D’Angelo è stato accusato di violazione delle norme sulla circolazione e di abbandono di veicolo, poiché si sarebbe allontanato dall’auto subito dopo l’impatto. Un comportamento che i suoi difensori considerano un gesto istintivo e non un tentativo di fuga.

Michele D'Angelo detenuto in Albania
La vicenda di Michele D’Angelo, il professore universitario italiano detenuto in Albania da più di un mese per un incidente stradale – Blitz Quotidiano

Da quel momento il docente, volto noto nella comunità accademica, è rinchiuso in carcere in attesa di giudizio. A suo favore si stanno mobilitando già da giorni l’Università dell’Aquila ed anche diversi rappresentanti istituzionali. Tra questi il senatore Luciano D’Alfonso del Partito Democratico che l’11 settembre ha presentato un’interrogazione parlamentare al ministro degli Esteri per sollecitare la massima cooperazione con le autorità albanesi e chiarire la dinamica dell’incidente.

Preoccupazione è stata espressa anche dal rettore uscente dell’Università dell’Aquila, Edoardo Alesse, che è stato informato del caso pochi giorni giorno dopo l’arresto. “L’Università dell’Aquila si è mobilitata sin da subito – ha detto all’Ansa – e siamo in contatto con la famiglia del nostro docente. Siamo anche in comunicazione con il sindaco del capoluogo, Pierluigi Biondi. Da un lato, siamo fiduciosi che, una volta terminato l’iter giudiziario, riesca a chiarire a pieno la sua posizione. Dall’altro, tuttavia, siamo preoccupati perché le settimane passano e D’Angelo è detenuto ormai da troppo tempo”. D’Angelo riveste diversi incarichi nell’ateneo aquilano. Sin dal primo momento, anche l’ambasciata italiana è a lavoro per fare da collegamento tra i familiari del docente e le autorità giudiziarie albanesi.

Il racconto della compagna di Michele D’Angelo

“Michele è una persona molto sensibile, ed essere in stato di detenzione in un Paese che non conosce, senza poter comunicare per via della lingua, lo rende fragile. Mi auguro che si possa uscire da questa situazione il più presto possibile”. A dirlo è Vanessa Castelli, la compagna di Michele D’Angelo. La donna ha rivolto un appello alle istituzioni coinvolte affinché si proceda alla sua liberazione. “Stavamo svoltando verso il ristorante del matrimonio di due amici – ha raccontato la donna – quando una Mercedes, a velocità elevata, ha perso il controllo e si è ribaltata. Dobbiamo ritenerci fortunati nel dire che siamo stati solo sfiorati. Michele, in stato di choc, ha spostato la nostra Lancia Ypsilon per metterci in sicurezza e chiedere aiuto. Sappiamo che non si doveva fare, ma presi dal panico ci sembrava la cosa più giusta, in quel momento. Poi siamo scesi a chiedere aiuto, nessuno si fermava”.

Dopo alcune rassicurazioni sull’arrivo dell’ambulanza, la coppia ha atteso invano la polizia per le testimonianze. Il giorno successivo, i due docenti si sono presentati spontaneamente al commissariato di Fier “convinti di dover solo testimoniare, non di essere indagati”. Al termine della deposizione, però, è scattato il fermo per D’Angelo, tuttora detenuto insieme al conducente della Mercedes. Tre giorni dopo, è arrivata la notizia della morte di uno dei passeggeri dell’altro veicolo ha aggravato la vicenda giudiziaria. “Siamo profondamente dispiaciuti per la famiglia della vittima, Michele prega ogni giorno per loro – ha aggiunto la Castelli -. D’altra parte si tratta di una misura cautelare troppo gravosa. Le procedure sono complicate, e la distanza da casa rende la sua condizione ancora più difficile”.

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