Lo studio: a Taranto emissioni CO₂ abbattute con il ciclo alimentato a idrogeno verde

Una vista di Taranto, sullo sfondo le ciminiere dell'acciaieria ex Ilva

I ricercatori dell’università di Bari analizzano gli scenari di dacarbonizzazione dello stabilimento siderurgico più grande d’Europa. Legambiente: “Serve ruolo guida dello Stato”

Taranto da simbolo di crisi industriale a laboratorio europeo di siderurgia verde e lavoro sostenibile. Lo evidenzia il nuovo studio “Taranto dopo il carbone. Proposte per un futuro pulito: scenari di decarbonizzazione del siderurgico, fonti rinnovabili, lavoro”, realizzato dall’Università di Bari per Legambiente, con il sostegno della European Climate Foundation. Lo studio è stato presentato questa mattina a Taranto presso l’Aula magna dell’ITT “A. Pacinotti” nel corso di un incontro pubblico – una tappa di Per un Clean Industrial Deal made in Italy, la campagna di Legambiente per una riconversione industriale che unisca decarbonizzazione, competitività e nuova occupazione verde – nel quale sono intervenuti Stefano Ciafani, presidente di Legambiente, Daniela Salzedo, presidente di Legambiente Puglia, Lunetta Franco, presidente Legambiente Taranto, insieme a diversi esperti del settore e gli stessi autori Lidia Greco, dell’Università di Bari, Pasquale Cavaliere dell’Università del Salento e Alex Sorokin, ingegnere e consulente energetico. L’obiettivo, che segue una serie di iniziative e proposte portate avanti negli ultimi anni da Legambiente, è analizzare gli scenari di decarbonizzazione dell’ex Ilva, la più grande acciaieria a ciclo integrale d’Europa, e i relativi impatti sull’ambiente e sui livelli occupazionali.

Dal carbone all’idrogeno: i percorsi di trasformazione

Il passaggio dall’attuale ciclo integrale a un sistema basato su forni elettrici ad arco (EAF) e sulla riduzione diretta del minerale di ferro (DRI) fino ad arrivare alla completa decarbonizzazione con forni alimentati da DRI prodotto con idrogeno verde rappresenta la via maestra per allineare la produzione di acciaio agli obiettivi del Green Deal europeo e della neutralità climatica al 2050.

Tre gli scenari principali individuati:

  • Tre forni elettrici ad arco (EAF) da 2 milioni di tonnellate d’acciaio all’anno alimentati da rottame metallico;
  • Tre forni elettrici (EAF) da 2 milioni di tonnellate d’acciaio abbinati alla riduzione diretta del minerale di ferro con gas naturale (NG DRI-EAF);
  • Tre forni elettrici (EAF) alimentati da preridotto prodotto con idrogeno verde (H₂ DRI-EAF).

Le simulazioni mostrano che la combinazione di preridotto da gas naturale e rottame (30%-70%) può ridurre i consumi energetici del 36% e le emissioni di CO₂ fino all’85% rispetto al ciclo integrale. Con l’idrogeno verde la riduzione sale dal 75% fino al 90%, avvicinando Taranto alla piena neutralità climatica.

L’obiettivo strategico per Legambiente è quello di puntare a una siderurgia “zero carbon”, ovvero con tutto il ciclo produttivo — dagli elettrolizzatori ai forni — sia alimentato da energia rinnovabile. Ciò comporta la creazione di nuove infrastrutture elettriche e un forte sviluppo locale di impianti solari ed eolici, in coerenza con il PNIEC e la strategia italiana sull’idrogeno.

Oggi l’ex Ilva, a pieno regime, è autorizzata a produrre 6 milioni di tonnellate di acciaio all’anno, con un consumo di oltre 130 milioni di gigajoule di energia e l’emissione di 10-13 milioni di tonnellate di CO₂ annue, oltre a emissioni di diossine, polveri sottili, IPA, SOₓ e NOₓ, legate alla combustione del carbone e ai processi di cokeria e sinterizzazione.

La sostituzione del ciclo integrale con processi elettrificati consente una riduzione drastica delle emissioni climalteranti e degli inquinanti. Con l’opzione H₂ DRI-EAF, Taranto potrebbe ridurre le proprie emissioni di CO₂ fino al 90–95% rispetto all’attuale configurazione, con un radicale abbattimento di diossine e IPA e una netta riduzione di SOₓ e NOₓ. Una condizione necessaria, però, è che tutta l’energia impiegata sia di origine rinnovabile, in coerenza con gli obiettivi europei di decarbonizzazione e della strategia nazionale per l’idrogeno. Per raggiungere tale livello di decarbonizzazione serviranno nuove infrastrutture per la produzione e distribuzione di idrogeno verde, un mix elettrico rinnovabile dedicato e politiche di sostegno pubblico per garantire la competitività industriale in linea con il Clean Industrial Deal europeo.

Occupazione e nuove competenze per la transizione

La trasformazione industriale comporterà un impatto occupazionale significativo. La dismissione di altoforni e cokerie comporterà una riduzione della forza lavoro diretta, legata alla maggiore automazione dei processi DRI-EAF. Ma il bilancio complessivo può essere positivo se si considera l’intera filiera della transizione energetica: dalla produzione di idrogeno a quella di energia rinnovabile, dalla manutenzione dei relativi impianti ai servizi ambientali e digitali.

Oggi il complesso ex Ilva impiega circa 8.000 addetti diretti e 4.000 nell’indotto. Secondo lo studio, la dismissione delle aree ghisa, altoforno e acciaieria e l’introduzione dei forni elettrici e del DRI comporterebbero l’esubero di poco più di 3.500 lavoratori pari a circa il 45% dell’attuale forza lavoro considerando la minore intensità di manodopera dei processi elettrificati. Il report evidenzia l’urgenza di un piano di reskilling e upskilling per i lavoratori siderurgici e di una rete formativa tecnico-scientifica che integri università, ITS e imprese

Il bilancio complessivo dei livelli occupazionali va, però, valutato considerando tutta la filiera che il processo di decarbonizzazione va a generare: oltre 8mila posti di lavoro aggiuntivi è la stima dell’impatto occupazionale che potrebbe essere generato dall’incremento delle fonti energetiche rinnovabili necessario per coprire il fabbisogno di energia elettrica verde dell’acciaieria di Taranto decarbonizzata. Per la buona riuscita della transizione dal punto di vista lavorativo un aspetto cruciale è che l’occupazione aggiuntiva si sviluppi prevalentemente a scala locale, sia nella fabbricazione di componenti per turbine eoliche e impianti solari, che nella cantieristica navale e nell’assemblaggio delle componenti per le turbine eoliche galleggianti, nella logistica e nei servizi, nella manutenzione e conduzione e manutenzione post installazione degli impianti.

Una transizione giusta per il territorio e gli esempi virtuosi in Europa

“Riconvertire l’ex-ILVA di Taranto in un polo di produzione di acciaio verde non solo è tecnicamente possibile, ma rappresenta l’unica via per garantire davvero tutela di salute e ambiente insieme al rilancio dell’economia locale. Questo studio conferma e ribadisce quello che è la nostra idea sul futuro dell’industria siderurgica a Taranto”, il commento di Stefano Ciafani, presidente Legambiente nazionale. “Il percorso indicato per l’ex-ILVA non è campato in aria, ma trova riscontri concreti in vari Paesi europei. Tra le esperienze più significative si possono citare quelle svedesi di Hybrit e H2 Green Steel che puntano a produrre acciaio senza utilizzare combustibili fossili, con l’idrogeno come agente riducente. In Germania, Thyssenkrupp ha avviato il progetto di costruzione di impianti DRI alimentati a idrogeno per la sua acciaieria di Duisburg. Iniziative che dimostrano la maturità tecnologica della filiera H2 DRI-EAF e la volontà di parte del settore siderurgico europeo di investire in soluzioni a zero emissioni, cogliendo le nuove opportunità di mercato per i prodotti green. Taranto ha il potenziale per unirsi a questa avanguardia. Rispetto alle scelte effettuate da altri Paesi il percorso seguito sinora dall’Italia appare ambiguo e indeterminato, oltre che segnato da insopportabili ritardi”.   “Lo Stato – aggiunge Lunetta Franco, presidente del circolo Legambiente di Taranto – deve assumere un ruolo guida: servono politiche coerenti, una programmazione seria e finanziamenti certi, affinché la necessaria ed indifferibile riconversione possa tradursi in un autentico riscatto per la comunità tarantina. La transizione ecologica rappresenta un’occasione storica per rifondare l’intera economia locale: alla produzione di acciaio “green” va affiancata una reale diversificazione produttiva, favorendo l’ascesa di settori ecologicamente sostenibili, affini a quelli esistenti, dalla produzione di energia da fonti rinnovabili a quella di idrogeno verde, garantendo nei fatti e non solo a parole una “transizione giusta”.

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