Mimmo Lucano, ribaltata la sentenza di primo grado

Riace-Lucano

A Riace non c’era nessun sistema criminale legato al favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. L’ex sindaco era stato condannato a 13 anni e due mesi per associazione a delinquere, truffa, peculato, falso. La Corte d’Appello di Reggio Calabria ha stabilito solo una condanna a un anno e sei mesi, con pena sospesa, per abuso d’ufficio. Assolti gli altri 17 imputati

Abbracci, commozione, applausi e slogan alla lettura del dispositivo. L’odissea di Mimmo Lucano finisce così, l’11 ottobre, poco dopo le 17. L’aula del tribunale di Piazza Castello, a Reggio, è zeppa di militanti arrivati da ogni luogo della Calabria. Il principale imputato del processo però non c’è. Ha scelto di disertare l’ultima udienza: è rimasto nella sua Riace mentre i giudici della seconda sezione della Corte di Appello reggina decidevano il suo futuro. Il verdetto è un trionfo. La sentenza di primo grado a 13 anni e 6 mesi di carcere, quasi il doppio di quanto chiedeva l’accusa, ribaltata: l’ex sindaco di Riace è condannato ad appena un anno e sei mesi di reclusione per un reato amministrativo, con pena sospesa. Le accuse contestategli in primo grado – associazione per delinquere, truffa, peculato, falso – crollano. Ma a crollare è in realtà l’intero impianto accusatorio. La Corte ha infatti assolto gli altri 17 imputati. A Riace non c’era nessun sistema criminale, nessuno faceva business sull’accoglienza.

La vicenda giudiziaria di Lucano era iniziata sette anni fa, nel 2016, dopo alcune irregolarità amministrative rilevate dagli ispettori mandati dalla prefettura locale. Due anni dopo era stata aperta l’inchiesta “Xenia”, che a settembre 2021 aveva portato alla condanna in primo grado da parte del tribunale di Locri. Secondo quei giudici, il sistema organizzato da Lucano – famoso nel mondo come modello di integrazione e solidarietà – nascondeva un’associazione a delinquere responsabile di una serie di reati, compiuti dallo stesso Mimmo Lucano – così c’era scritto nelle motivazioni della sentenza di primo grado – per arricchirsi e garantirsi una tranquillità economica una volta andato in pensione.

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