Mistero Orlandi, humour nero di Nicotri: una falsa pista collega Emanuela col caso Moro e il cadavere nel lago

Nuovi sviluppi del Mistero Orlandi: certo che a voler fare del sensazionalismo si possono ipotizzare connessioni da cardiopalma perfino col sequestro e l’uccisione dell’onorevole Aldo Moro, avvenuta per opera delle Brigate Rosse nel 1978. Vale a dire, cinque anni prima della scomparsa di Emanuela, la ragazza vaticana figlia di un commesso di Papa Wojtyla.

Come è ben noto, la famiglia Meneguzzi – composta da zio Mario, sua moglie Lucia Orlandi sorella di Ercole padre di Emanuela, e dai loro due figli Pietro e Giorgio – possedeva anche una casa per le vacanze in montagna a 730 metri di altezza a Torano, frazione di Borgorose, provincia di Rieti.  Zona dell’alto Lazio al confine con l’Abruzzo. Ed è a Torano che verso la mezzanotte del 22 giugno 1983 Ercole Orlandi, dopo non averlo trovato nella sua casa romana, telefona a Mario Meneguzzi per dirgli molto allarmato che Emanuela non era ancora tornata a casa.

Emanuela Orlandi e il lago della Duchessa

Mistero Orlandi, humour nero di Pino Nicotri: una falsa pista collega Emanuela col caso Moro e il cadavere nel lago, nella foto emanuela orlandi
Emanuela Orlandi, lettera di Pino Nicotri a Gianni Cuperlo: perché Calenda e Purgatori hanno sbagliato – Mistero Orlandi, humour nero di Pino Nicotri: una falsa pista collega Emanuela col caso Moro e il cadavere nel lago – Blitzquotidiano.it (foto Ansa)

Il caso vuole che nel Reatino ci sia il lago della Duchessa, meta di escursionisti e soprattutto degli amanti del mountain bike, che partono proprio da Borgorose per fare una bella gita pedalando fino ai 1.800 metri del lago. E sempre il caso vuole che per preparare l’opinione pubblica alla morte di Moro qualcuno s’è preso la briga di far trovare il 18 aprile ’78 a Trastevere a un giornalista del Messaggero il falso comunicato brigatista che annunciava l’avvenuta uccisione di Moro, specificando che il suo cadavere giaceva nei fondali del lago della Duchessa.

Il falso documento si spacciava per il comunicato numero sette delle Brigate Rosse e recava scritto quanto segue:

“Oggi 18 aprile 1978 si conclude il periodo “dittatoriale” della DC [all’epoca il partito di maggioranza Democrazia Cristiana, ndr] che per ben trent’anni ha tristemente dominato con la logica del sopruso. In concomitanza con questa data comunichiamo l’avvenuta esecuzione del presidente della DC Aldo Moro, mediante “suicidio”. Consentiamo il recupero della salma, fornendo l’esatto luogo ove egli giace. La salma di Aldo Moro è immersa nei fondali limacciosi del lago Duchessa, alt. mt. 1800 circa, località Cartore (RI), zona confinante tra Abruzzo e Lazio. È soltanto l’inizio di una lunga serie di “suicidi””.

Perché i sommozzatori dei carabinieri potessero immergersi per cercare il cadavere di Moro fu necessario bucare con la dinamite la spessa coltre di ghiaccio del lago. Particolare, questo, che avrebbe dovuto far capire subito che nessuno poteva avervi gettato i resti di Moro o anche solo un sasso e che quindi il comunicato era un falso. Invece venne preso sul serio finché due giorni dopo, il 20 aprile, le Brigate Rosse emisero il loro vero comunicato numero sette, con allegata una foto di Moro vivo con in mano una copia del giornale Repubblica del giorno prima, 19 aprile.

Coincidenze per ipotesi assurde

Sempre il caso vuole anche che Moro abitasse in via del Forte Trionfale e che stando ai racconti di vecchi abitanti della zona i Meneguzzi abbiano abitato nella zona Monte Mario-Trionfale Alto. E c’è chi ricorda che Pietro Meneguzzi frequentava il liceo scientifico Louis Pasteur di via Giuseppe Barellai, quartiere Trionfale.
Il Pasteur faceva parte di un gruppo di sei licei e istituti tecnici della zona (i licei scientifici Pasteur, Guido Castelnuovo, XXII, l’istituto industriale Enrico Fermi, l’istituto commerciale Antonio Genovesi e il liceo classsico Terenzio Mamiani) in eterna agitazione: studenti molto spesso in assemblee di protesta e partecipanati in massa alle manifestazioni della sinistra extraparlamentare. Tra loro non mancavano non solo i militanti di estrema sinistra, da Lotta Continua a Potere Operaio e all’Autonomia Operaia, ma neppure  i simpatizzati delle Brigate Rosse.

Un rapporto del Sisde fa rilevare che Pietro Meneguzzi aveva fatto parte di Autonomia Operaia e aveva avuto qualche fastidio giudiziario. Desta perciò sorpresa che sia stato assunto come commesso alla Camera dei deputati, dove suo padre Mario gestiva la buvette.

Certamente i Meneguzzi col caso Moro e falso comunicato brigatista depistante non c’entrano nulla. Ma chi volesse pensar male, fantasticare e fare del sensazionalismo al fulmicotone potrebbe affiancare alle varie piste fasulle lanciate nel corso di 42 anni anche questa: la pista Trionfale-Torano-Lago della Duchessa.

Altro che “Papa Wojtyla la sera usciva non per andare a benedire le case….”.

Delirio più, delirio meno….

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