Naspi anche con dimissioni volontarie? Esperto svela: perché ora sarà più difficile ottenerla

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Naspi anche con dimissioni volontarie? Esperto svela: perché ora sarà più difficile ottenerla

Naspi anche con dimissioni volontarie? Perché non è proprio così

Dal 1° gennaio 2025, l’accesso alla Naspi cambia. L’emendamento alla Legge di Bilancio stabilisce che, anche in caso di dimissioni volontarie, l’indennità sarà concessa solo se il lavoratore ha accumulato almeno 13 settimane di contributi nel nuovo impiego. La misura mira a contrastare abusi e a rendere più difficile ottenere il sussidio.

La Nuova Assicurazione Sociale per l’Impiego (Naspi) è una prestazione economica destinata ai lavoratori dipendenti che perdono involontariamente il loro posto di lavoro. Essa rappresenta un importante supporto per i disoccupati, aiutandoli a fronteggiare le difficoltà economiche durante il periodo di ricerca di un nuovo impiego. A partire dal 1° gennaio 2025, sono previste modifiche sostanziali alle condizioni di accesso alla Naspi, con particolare riferimento ai lavoratori che decidono di dimettersi volontariamente dal loro posto di lavoro.

Secondo un emendamento introdotto nella Legge di Bilancio 2025 (ancora in discussione), coloro che hanno lasciato spontaneamente un impiego a tempo indeterminato nei 12 mesi precedenti non avranno diritto alla Naspi, a meno che, nel nuovo rapporto di lavoro (perso involontariamente: quindi non in caso di dimissioni volontarie), non abbiano maturato almeno 13 settimane di contribuzione. L’obiettivo di questa novità è contrastare fenomeni elusivi, come quello dei lavoratori che si dimettono volontariamente per poi essere assunti a tempo determinato e licenziati subito dopo, al fine di accedere indebitamente all’indennità di disoccupazione (ma c’è anche chi si assenta dal lavoro senza giustificazione per ottenere il beneficio).

Il chiarimento del commercialista sull’accesso alla Naspi

Naspi, perché non spetterà anche in caso di dimissioni volontarie
Il chiarimento sulle novità in arrivo

Il commercialista Massimiliano Allevi, esperto in materia fiscale e previdenziale, ha recentemente chiarito la portata dell’emendamento, sottolineando che questa modifica legislativa non implica un riconoscimento della Naspi per chi si dimette volontariamente. L’intento dell’emendamento è principalmente di natura antielusiva: infatti, i lavoratori che lasciano un impiego a tempo indeterminato dovranno accumulare almeno 13 settimane di contribuzione in un nuovo lavoro per poter accedere alla prestazione. Questo cambiamento mira a prevenire abusi da parte di chi potrebbe cercare di sfruttare il sistema di welfare a danno della collettività.

Cosa cambia per dipendenti e datori di lavoro

Dal punto di vista pratico, questa misura comporta una modifica significativa per i lavoratori. In passato, infatti, anche chi si dimetteva volontariamente aveva la possibilità di ricevere la Naspi, ma con le nuove regole, questa opportunità è limitata. Ora, per ottenere l’indennità, sarà necessario un periodo minimo di contribuzione nel nuovo lavoro, rendendo più difficile l’accesso alla prestazione per chi lascia il posto di lavoro in modo volontario. Questo cambiamento si inserisce all’interno di una strategia complessiva del governo, mirata a rafforzare la sostenibilità del sistema previdenziale e a prevenire abusi.

Anche i datori di lavoro dovranno adeguarsi a queste nuove normative, poiché la modifica potrebbe influire sulla gestione delle risorse umane. La normativa è pensata non solo per proteggere le finanze pubbliche, ma anche per tutelare le aziende da eventuali pratiche scorrette. Se un lavoratore si dimette volontariamente e poi viene riassunto da un altro datore di lavoro, la nuova disposizione renderà difficile ottenere la Naspi se non si sono maturate le 13 settimane di contribuzione.

Naspi anche con dimissioni volontarie? Esperto svela: perché ora sarà più difficile ottenerla
Biagio Romano