Nell’Italia degli egoismi e della patrimoniale non c’è tempo per commemorare i caduti di Nassiriya.
Il collegio dei docenti di un piccolo istituto scolastico in provincia di Pisa, è assurto agli onori della cronaca per avere deciso di non ricordare i caduti di Nassiriya, uccisi in Iraq dai terroristi di “al-Qāʿida”. Il rifiuto è stato motivato con ragioni di “programmazione didattica”.
Eppure, anche agli occhi dei pacifisti, non si usciva dal “seminato” perché la missione era stata richiesta dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Che gli italiani non sentano forti richiami patriottici verso un esercito i cui soldati sono destinati ad operazioni di pace all’estero ma devono ricorrere ad un costoso Signore della guerra per difendere le loro frontiere, mi pare comprensibile.
D’altra parte, dalla Liberazione in poi, il “patriottismo” è sempre stato avvertito come un valore negativo dai nostri governanti, con la sola eccezione del presidente Carlo Azeglio Ciampi che stava al Quirinale negli anni di Nassiriya. Gli italiani avevano risposto con ben altro spirito patriottico, quando il “regime” chiedeva “Oro alla Patria”. Ma tutti sanno che il nazionalismo di quel periodo era frutto di propaganda e di minacce poliziesche. Resta inspiegabile la struggente nostalgia verso il paese d’origine degli emigrati italiani di ogni generazione.
A differenza degli insegnanti di Pisa, mi domando perché il Ministero dell’Istruzione non renda obbligatori corsi per gli studenti delle scuole dell’obbligo allo scopo di ricordare gli attentati terroristici, almeno quelli più importanti.
Italia e terrorismo

La spada di Allah si è rivolta contro l’America, la Russia e l’Europa. Gli attacchi a New York dell’11 settembre 2001, avevano provocato 2.996 morti, il doppio dei martiri del sette ottobre: sì, erano martiri anche loro. L’Isis ed altri gruppi terroristici hanno attaccato in Francia (Saint Michele, al Bataclan, Charlie Hedbo, a Tolosa e a Nizza), a Madrid, a Bruxelles, a Londra, in Germania e in Bulgaria. Persino Putin ha subito il terrorismo ceceno.
Corsi didattici sul terrorismo, rappresenterebbero il mondo di oggi com’è veramente e sarebbero più utili rispetto alle rimembranze Risorgimentali o sulla Resistenza che ormai non sono più avvertite come fattori aggreganti dal popolo italiano. Il tema scolastico potrebbe essere questo: “È legittimo uccidere popolazioni inermi in nome di un credo religioso o di qualsiasi altro nobile fine?”
Ho tuttavia un dubbio: dove trovare insegnanti che siano contrari alle azioni terroristiche. Se vai a leggere le cronache dei giorni successivi al 7 ottobre, prima che la reazione israeliana diventasse “spropositata”, l’opinione prevalente negli ambienti scolastici e universitari era stata “giustificazionista”.
Approfondendo un po’, si può scoprire che l’idea di abbattere i “tiranni” con gli attentati, ha antiche radici e che molti teorici del terrorismo internazionale hanno studiato in Italia, in Francia o nel Regno Unito.
Robespierre, l’incorruttibile ghigliottinatore, si era formato presso le scuole dei Gesuiti, che facevano i missionari in Amazzonia e difendevano gli indios schiavizzati da spagnoli e portoghesi. Per questa nobile attività, quei religiosi si erano messi in contrasto con la Chiesa di Roma.
Le gerarchie ecclesiastiche hanno sempre condannato il terrorismo. Il fallimento dell’insurrezione dei contadini tedeschi nel XVI secolo viene ricondotto all’intervento di Lutero che, con lo scritto “Contro le bande dei contadini assassini e saccheggiatori”, fece perdere fiducia al movimento. Vinse allora la repressione e trovò giustificazione religiosa la crudele rappresaglia dei “Signori” .
Ai nostri giorni, gli ayalollah torturano gli esponenti dell’opposizione e benedicono i terroristi che ammazzano gli ebrei ovunque si trovino.
Lo sceicco del Terrore Bin Laden aveva studiato per 4 anni alla Oxford University. Molti capi tribù e guide spirituali che predicano il terrorismo hanno frequentato l’Università di Perugia.
I “cattivi maestri” dei nostri anni di piombo erano usciti dalla Facoltà di Trento e pochi mesi fa le immagini di Agnese Tumicelli con simboli delle Brigate Rosse, hanno scatenato polemiche e reazioni istituzionali, che si sono esaurite in due giorni per lo scarso interesse mediatico.
Casi analoghi hanno convinto Trump a bloccare le borse di studio nelle università americane e gli intellettuali di tutto il mondo “democratico” hanno urlato il proprio sdegno. L’argomento su cui discutere è il seguente: è lecito incitare i giovani contro i valori fondanti del proprio paese, in nome della libertà di insegnamento?
Scuola e ideologia
L’occupazione ideologica della scuola italiana aveva determinato la cultura dell’odio verso la classe produttiva (il denaro è “sterco” e frutto di ruberie) che avrebbe condizionato intere generazioni di lavoratori in fabbrica e di laureati che andavano a fare i magistrati o i burocrati pubblici. Questo tipo di cultura è stato un vulnus della nostra democrazia, di cui il paese non si è ancora oggi liberato.
Pensiamo al Pm di Brescia che ha chiesto l’assoluzione di un immigrato per maltrattamenti alla moglie e ai figli, in ragione del suo “impianto culturale”. La procura di Brescia ha emanato una nota in cui si dissocia e condanna la violenza “a prescindere da qualsiasi riferimento culturale”. L’autonomia della Magistratura è interpretata come libertà assoluta del “singolo” decisore togato,che non può essere messa in discussione neppure dai suoi superiori. Insomma, mentre un chirurgo deve seguire un “Protocollo” e passa i suoi guai qualora se ne discosti, un giudice o un Pm possono dare libero sfogo alle proprie enunciazioni “creative”.
Molto più serio e trasparente era il magistrato dei miei tempi che frequentava la sezione del PCI e creava giurisprudenza a favore della classe operaia.
Insomma, l’occupazione ideologica o religiosa della scuola e delle istituzioni è sempre stata l’obbiettivo delle dittature e delle finte democrazie.
La scuola “democratica” italiana ha perso cinque a zero il confronto con quella cinese e giapponese, entrambe fondate sulla selezione “competitiva” degli studenti. Quanto all’Università, credo non si possa dare del fascista all’osservatore che confronti il premio Nobel a Dario Fo con gli analoghi riconoscimenti a Marconi, Fermi e Giosuè Carducci.
L’occupazione politica dei sindacati che non sanno rinnovare i loro metodi di lotta, è dimostrata dalla trattativa sull’Ilva di questi giorni. La crisi dell’acciaio in Italia è dovuta alla politica green e alle iniziative giudiziarie che hanno portato a numerosi arresti di amministratori pubblici a Taranto e dintorni.
I sindacati dovrebbero dunque scendere in piazza per protestare contro le leggi volute dai Verdi e la giurisprudenza dei magistrati. Invece, la CGIL se la prende con la Meloni, perché Landini non capisce che l’idea di un sindacato “catena di trasmissione” della “sinistra” è roba da museo. I diritti del lavoratore si sono ridotti, non per la politica ma per il progresso scientifico.
Bill Gates ha cambiato il corso della storia certamente più di Karl Marx. Egli afferma che i prodotti window hanno abbattuto le antiche barriere dei privilegi tra paesi poveri e ricchi, dal momento che lo studente ugandese avrà le stesse condizioni di accesso all’istruzione del giovane americano.
In Italia, le “scorie ideologiche” residuali sono strumenti politici ad uso delle masse, che non comportano sacrifici economici per chi le professa.
Prendiamo la lodevole iniziativa di introdurre un’imposta patrimoniale a favore delle classi disagiate. Questa proposta riguarda anzitutto i patrimoni immobiliari, dal momento che i capitali liquidi li puoi nascondere con relativa facilità. Vi siete mai chiesti dove hanno la residenza i capitalisti “illuminati” come Carlo De Benedetti, la tessera “numero uno” del PD, e perché il tesoro degli Agnelli era depositato in Svizzera?
In Italia le vere rendite sono quelle relative al fattore lavoro, frutto di una posizione privilegiata. Detengono una rendita parassitaria i dipendenti che operano in settori particolari come quello petrolifero, assicurativo, bancario, nelle burocrazie di ogni ordine a grado e nelle Istituzioni elettive. È noto che i dipendenti di questi comparti godono di retribuzioni più elevate, mentre rappresenta un esempio di situazione sacrificata quella dei metalmeccanici italiani.
A tale riguardo voglio ricordare le proposte dei 5 Stelle e della Meloni, quando erano all’opposizione. Queste formazioni chiedevano il prelievo di qualche punto sugli stipendi “esagerati” percepiti dai parlamentari e da chi ricopriva ruoli apicali nelle amministrazioni pubbliche o nei gruppi monopolistici che intercettano la maggior parte del reddito nazionale.
Ma quale dovrebbe essere la soglia di tassabilità? Landini percepisce circa 7.500 euro mensili dal sindacato. Con questo stipendio egli si considera forse esente da una patrimoniale perché, magari, non ha mai investito in immobili?
Perché l’idea di Beppe Grillo e della Meloni era stata abbandonata? Perché i Supremi Giudici avevano stabilito che “il contributo di solidarietà” era illegittimo. Inoltre, nel caso di una riduzione degli stipendi, i sindacati dei controllori di volo, della Magistratura, dei funzionari di ogni ordine e grado, sarebbero entrati in sciopero paralizzando il paese, come sta avvenendo nell’America di oggi.
Ciò significa che le categorie dei grandi burocrati, dei dipendenti e degli imprenditori assistiti, che sono fin qui riuscite a trovare nella classe politica il capro espiatorio, non pagheranno mai il prezzo della loro complessiva inettitudine.
La povertà non deriva dai patrimoni accumulati, dai risparmi o dai profitti di impresa che sono messi in circolo e generano occupazione, ma dalle classi parassitarie inefficienti che pesano sul sistema produttivo. Il benessere deriva invece dai gruppi di minoranza che formano la classe media, il cui primato è necessario nell’interesse di tutte le categorie sociali.
Le Nazioni attraversano la fase felice dello “stato nascente”durante la quale prevalgono valori e aspirazioni ideali e altre successive (sempre meno felici) legate agli interessi, fino al definitivo trionfo del denaro e delle burocrazie.
Nell’Italia degli egoismi e del disimpegno non c’è più il tempo per commemorare i caduti di Nassiriya.
L’articolo Nell’Italia degli egoismi e della patrimoniale non c’è tempo per commemorare i caduti di Nassiriya proviene da Blitz quotidiano.
