
La vicenda dello smantellamento del vecchio nucleare è piena di ombre, lunghezze burocratiche e spreco di tempo
di DANIELE ROVAI
L’Italia vuole ripartire con una nuova stagione nucleare ma non ha ancora smaltito i residui che ha lasciato la vecchia: dieci impianti nucleari da smantellare e circa 78.000 metri cubi tra rifiuti e scorie radioattive da mettere in sicurezza. Nel 1999 viene creata una società pubblica ad hoc per farlo. Si chiama Sogin, società per azioni con unico socio il Ministero dell’economia. Questa la storia di quell’azienda statale che da 25 anni arranca nel cercare di smantellare quella vecchia avventura.
Nel 2000 arriva il finanziamento per lo smantellamento. Con un decreto ministeriale si stabilisce di tassare la bolletta elettrica degli italiani e sarà compito della AEEG, l’arbitro indipendente che dal 1995 detta le regole del mercato dell’energia liberalizzato, oggi ARERA, utilizzare quei soldi per finanziare la Sogin.
Un anno dopo, 2001, con un altro decreto ministeriale, arrivano anche gli “indirizzi operativi”. L’azienda ha piena autonomia per gestire lo smantellamento secondo le direttive date dal governo e vent’anni di tempo per concludere i lavori. Questa modalità operativa farà si che ogni esecutivo che guiderà il Paese potrà decidere cosa fare e come fare il decommissioning, questo il termine tecnico per lo smantellamento di impianti nucleari, senza che il Parlamento possa intervenire. Un sistema che, vedremo, trasformerà l’azienda in un costoso carrozzone pubblico.
Nel 2002 l’AEEG studiato il piano industriale decide di finanziare la società per il triennio 2002 – 2004 con 362 milioni di euro. Altri 106 milioni di euro andranno a un consorzio istituito tra Sogin, Enea e FN, l’unica fabbrica italiana di produzione di combustibile nucleare, per smantellare anche quegli impianti. Sarà comunque Sogin che gestirà l’investimento di 468 milioni di euro.
Passano pochi mesi da quella delibera dell’Autorità che il ministro dell’economia, Giulio Tremonti, si accorge della Sogin e che c’è un progetto di smantellamento da portare avanti. Il CdA sta lavorando per far partire la macchina ma Tremonti decide di affidare la società ad altre persone. Una Sogin gestita da un ingegnere nucleare – il dottor De Felice, direttore storico di quegli impianti nucleari sin da quando Enel era statale – e da un fisico di fama internazionale esperto nello smantellamento di impianti nucleari – il professor Maurizio Cumo – non dà la sicurezza che possa essere fatto un buon lavoro? Il Cda si dimette. Il nuovo consiglio viene portato da tre a cinque membri. Nuovo AD sarà l’ingegnere Giancarlo Bolognini e come Presidente un generale degli Alpini, tale Carlo Jean, esperto di geopolitica. S’introduce un’altra carica: quella di vicepresidente. Il posto sarà occupato da Paolo Togni. È il sottosegretario al Ministero dell’ambiente retto da Altero Matteoli di Alleanza Nazionale, oggi Fratelli d’Italia. Uomo di fiducia di Matteoli, quindi, ma anche il dirigente che controlla l’APAT, l’Agenzia di controllo ambientale e radiologico. In sostanza, grazie a Togni, la Sogin controlla anche chi deve controllarla sulla gestione dei rifiuti radioattivi. Un modo non proprio trasparente per partire con un progetto così importante. La Sogin non fa in tempo ad accendere i motori che il mondo conosce la paura di una guerra atomica. Gli USA che da anni denunciano che Saddam Hussein, il dittatore iracheno che ha armi di distruzione di massa, a marzo 2003 decidono di dichiarargli guerra. Il governo Berlusconi aveva però anticipato le mosse. A febbraio aveva dichiarato lo stato di emergenza sui siti nucleari, sia mai che un terrorista vada a prendere qualche bidone radioattivo e a marzo nomina il generale Jean commissario delegato dal governo per gestire quell’emergenza. Avrà poteri in deroga a molte norme ambientali e le sue ordinanze avranno valore di legge.
Paura atomica
Lo smantellamento può aspettare, adesso c’è da difendere i siti da possibili intrusioni terroristiche. Il generale sa come muoversi: per prima cosa crea una struttura di comando che risponde direttamente a lui, nominando la Sogin “organo attuatore” delle sue ordinanze. Per semplificare: il commissario Carlo Jean comanda il Presidente Carlo Jean. Nei fatti, esautora il Consiglio d’amministrazione. Prende sotto la sua ala anche i laboratori dell’ENEA.
A novembre del 2003 la Sogin ha addirittura individuato il sito dove costruire il deposito nazionale dove stoccare tutti i rifiuti radioattivi a bassa e media intensità prodotti dal sistema sanitario nazionale. Si farà a Scanzano Ionico, un piccolo paese della Basilicata che, a 900 metri di profondità, ha un’immensa caverna piena di sale. Posto perfetto per sotterrare non solo i rifiuti a bassa intensità ma anche le tonnellate di barre nucleari esauste da decenni affogate nelle piscine delle vecchie centrali atomiche.
Per il generale e il governo Berlusconi, Scanzano è la soluzione dei problemi. Per qualcuno solo un pretesto per portare i rifiuti radioattivi del Centro Nord – il 90% delle scorie radioattive più pericolose è stoccato negli impianti nucleari costruiti in Lombardia e in Piemonte – al Sud. Il 14 novembre 2003 con un decreto d’urgenza il governo Berlusconi decide che a Scanzano Ionico si costruirà il famoso Deposito, opera di pubblica utilità e sotto la giurisdizione dell’esercito.
La decisione fa infuriare tutto il Sud. Alle proteste di Scanzano si affianca la solidarietà degli altri Comuni, anche di regioni diverse, senza distinzione di appartenenza politica. E il governo fa marcia indietro, di fatto sconfessando il suo generale. Che sia stata veramente una scelta politica e non tecnica? Nel convertire il decreto in legge sparisce il nome di Scanzano Ionico e si rimanda la scelta del luogo ad una commissione d’esperti selezionati dal governo, con il deposito che sarà costruito entro il 2008. La commissione non è mai stata selezionata e ancora oggi non è stato scelto il sito dove costruire quel deposito.
L’emergenza terrorismo finisce a dicembre del 2006. L’AEEG fa i conti in tasca alla Sogin dei milioni spesi con il finanziamento erogato nel 2002. Il nuovo presidente dell’Autorità elettrica, l’ingegnere nucleare Alessandro Ortis, fa le pulci alla Sogin e al generale Jean. Denuncia come i lavori di smantellamento non sono mai veramente iniziati, come i soldi spesi siano stati spesi male. Alla fine, sono però solo 4,5 i milioni che non saranno riconosciuti come spese autorizzate. Di fatto la società chiude il bilancio del 2005 in rosso di 1,4 milioni di euro. Dovrebbe portare i libri in tribunale. A meno che il socio, o la società con fondi propri, non faccia un aumento di capitale. Cosa che avviene.
Aumento di spesa
Che cosa fa il governo per rimediare a questa figuraccia? Adesso l’esecutivo è di centro sinistra. Cambia gli amministratori della società? No. Intanto porta il numero dei consiglieri da cinque a sette, alla faccia del risparmio e cambia solo l’amministratore delegato, Giancarlo Bolognini. Carlo Jean? Resta presidente. Togni? Diventa consigliere. Il nuovo AD sarà Giuseppe Nucci, ex manager di società private e pubbliche. L’ultimo incarico? Ad di Enel Sole, società del gruppo Enel che si occupa di illuminazione pubblica. Per il governo è l’uomo giusto, al posto giusto.
Nucci si insedia nel 2006 e gli cade subito una tegola in capo. Nel 2005 l’allora AD, Giancarlo Bolognini, aveva concordato con i sindacati dei premi di produzione per il triennio 2004 – 2007. In piena emergenza terrorismo, con un generale che comanda su tutti, con lo smantellamento fermo, non era meglio congelare i premi? Fatto sta che a giugno 2006 i sindacati battono cassa per ricevere il premio per il 2005. E anche se Ortis per il 2006 parla di avanzamento dei lavori minimo, «per il quarto anno consecutivo un aumento degli organici allocati prevalentemente nella sede centrale» e che sia continuato l’aumento di alcuni costi generali, il premio hai dipendenti deve essere dato. Si chiamerà “premio ponte”, ovvero si premieranno le persone anche se la società, per “ragioni oggettive”, non ha potuto definire i parametri che dovevano raggiungere. Tutti contenti, sindacati compresi.
A proposito di assunzioni. Nel 2006 un deputato dei DS, oggi PD, Aleandro Longhi denuncia una serie di assunzioni in Sogin grazie all’interessamento di importanti dirigenti di quella società, di deputati e sottosegretari. Assunzioni familistiche e clientelari quindi. Nel mezzo ci finisce anche il generale Jean che, dice Longhi, ha fatto assumere ben tre persone vicine a lui.
Nel 2007 Nucci si dimette. Esce di scena anche il generale Jean. Per Nucci non è, però, una sconfitta. Intanto esce con una “dote” di più di 1 milione di euro ma rientrerà in Sogin nel 2009, come subcommissario, quando il governo Berlusconi commissaria per la seconda volta la società e nel 2010 come AD. Nel 2012 esce di scena definitivamente. Inutile dire che lo smantellamento, dopo quattrodici anni, è ancora fermo al palo.
Dal 2013 al 2016 la Sogin è guidata dalla coppia Giuseppe Zollino presidente e Riccardo Casale AD. Due ingegneri nucleari che da subito si detestano, tanto che nel 2015 un arrabbiato Casale scrive al ministro dell’economia Pietro Carlo Padoan che vuole dimettersi, accusando il presidente Zollino di comportamenti privi del pur minimo senso istituzionale tanto da provocare, a suo dire, danni alla società e quindi al progetto di smantellamento. Poi, quelle dimissioni saranno ritirate perché Casale vuole finire comunque il suo mandato, costi quello che costi.
Da canto suo Zollino ha altro per la testa che lo smantellamento. Sogin nel 2014 ha completato la cartina dei possibili territori dove costruire il famoso Deposito, si chiama CNAPI e a fine 2015 il governo la pubblicherà. Bisogna quindi informare la popolazione. E lui, che ha la delega alla comunicazione istituzionale della società, prepara quel progetto. Qui non è chiaro cosa succede. A dir la verità, il governo non pubblica la carta dei siti – lo farà solo nel 2021 – ma Zollino, non si sa se informalmente autorizzato da funzionari dei ministeri, fa partire lo stesso la campagna di comunicazione. C’è o non c’è il via libera del governo? Mistero. Comunque, la campagna non parte ma i contratti con le aziende sono stati firmati.
Nel 2021 l’ARERA, sollecitata da un’interrogazione di un parlamentare del centro destra che chiede al governo il rendiconto delle spese fatte da Sogin per la comunicazione dal 2010 al 2020, indaga su quelle fatte per il deposito. L’inchiesta si chiude nel 2022. Su una spesa per la comunicazione del Deposito di 43 milioni di euro, ben 12 milioni non sono riconosciuti. Soldi che devono mettere Sogin oppure il ministero dell’economia. Zollino resta famoso anche per un aneddoto curioso. Lui insegna a Padova e quindi, come presidente di Sogin, chiede gli sia pagato l’affitto di un appartamento a Roma. Il fatto è che la proprietaria dell’appartamento cui Sogin paga l’affitto è la compagna di Zollino e che quella è anche la sua abitazione, visto che è residente a Roma da tempo.
Dopo 25 anni dall’inizio dello smantellamento, solo il 45% del lavoro è stato portato a termine con più di 4 miliardi di euro spesi
Cambio multiplo
Tra il 2016 ed il 2022 la società cambia CdA due volte e viene commissariata per la terza volta. L’ultimo capitolo inizia ad agosto del 2023, quando il governo Meloni insedia il suo CdA. Si torna a cinque membri: tre consiglieri, un presidente, il pluridecorato ammiraglio della Marina Carlo Massagli e un nuovo AD, il dottor Gian Luca Artizzu, una risorsa interna Sogin. Nel 2020 è capo del personale con uno stipendio che superava i 100 mila euro, ma al momento della nomina di AD era stato spostato dall’organo commissariale alla “gestione del combustibile”.
Come Artizzu diventa AD, rivolta la società come un guanto. Congela le deleghe ai dirigenti, fa nuove nomine, avoca a sé alcune deleghe e un mese dopo la sua nomina fa assumere due ex dipendenti di Sogin: Stefano Bono e Vincenzo Ferrazzano. Il primo, assume ben tre incarichi: “direttore dell’ufficio regolatorio”, tiene i rapporti con la ARERA, direttore degli “affari istituzionali” e direttore delle “Comunicazione”. Il secondo, come “direttore dell’ufficio legale”.
A inizio 2024 un’agenzia di stampa, la AGEEI, che da anni segue le vicende della Sogin tessendone anche le lodi, improvvisamente cambia registro prendendo di mira Artizzu. Con dovizia di particolari scrive come la sua nomina sia stata fatta quando era sotto indagine della Guardia di Finanza, si tratterebbe di affidamenti diretti che lui aveva concesso come capo del personale e che le assunzioni di Bono e Ferrazzano avvengono per amicizia e non per la loro professionalità. Non manca, sulla questione, l’interrogazione al governo del parlamentare di turno. E lo smantellamento? La sistemazione delle scorie? Il Deposito Nazionale? Il nuovo AD ha detto che si stanno risolvendo i problemi e promesso che il processo sarà accelerato.
Qualcuno dovrà spiegarci con che soldi pagherà questo lavoro – la Sogin costa dai 300 ai 400 milioni l’anno e si ipotizza un costo di un miliardo e mezzo solo costruire il deposito – visto che dal 2023 i soldi per lo smantellamento non arriveranno più dalla tassa sulla bolletta elettrica, quindi non c’è più un’entrata sicura, ma dalla fiscalità generale. Sarà il governo a decidere di quanto finanziare la Sogin. E vista l’ultima finanziaria qualche dubbio resta.
Sono passati 25 anni dall’inizio dello smantellamento ma solo il 45% del lavoro è stato portato a termine anche se sono già stati spesi più di 4 miliardi di euro. Non è servito a niente nemmeno mandare in Francia le barre nucleari esauste che Sogin diceva impedissero lo smantellamento. Trasferimento partito nel 2006 e concluso nel 2015. 250 milioni spesi per niente, visto che l’accordo prevede che la Francia ce le rimandi indietro come rifiuto altamente radioattivo nel 2025 cioè, domani. E ancora non c’è un deposito dove metterle. La nuova industria nucleare italiana rischia di essere costruita sui rifiuti radioattivi di quella vecchia.
L’articolo è tratto dal numero di QualEnergia di luglio/agosto 2025