Operato di tumore al cervello, ma il tumore non c’era: bimbo di 4 anni resta invalido. Ospedale condannato per 3,7 milioni

Nel 2012 e poi nel 2013, un bambino di soli quattro anni viene sottoposto a due delicati interventi chirurgici al cervello nell’ospedale Meyer di Firenze, struttura di eccellenza nel campo pediatrico. I medici ritenevano che il piccolo fosse affetto da una rara forma tumorale cerebrale, responsabile di gravi crisi epilettiche e altri sintomi neurologici. Dopo le operazioni e i lunghi cicli di cure, le condizioni del bambino però peggiorano drasticamente, fino a lasciarlo completamente invalido.

A distanza di anni, una battaglia giudiziaria avviata dai genitori ha portato alla verità: il bambino non aveva alcun tumore. Soffriva invece di encefalite erpetica, un’infiammazione cerebrale curabile con terapia farmacologica. L’intervento di lobectomia temporale, cioè la rimozione parziale del lobo temporale del cervello, non solo era inutile, ma ha provocato danni irreversibili al piccolo paziente.

L’errore medico riconosciuto in tribunale

Il Tribunale di Firenze, con sentenza firmata dal giudice Roberto Monteverde, ha riconosciuto la responsabilità dell’azienda ospedaliera per un grave errore diagnostico e terapeutico. Secondo i giudici, i medici disponevano già degli elementi per capire che il quadro clinico non corrispondeva a un tumore, ma a un’infiammazione virale. L’ospedale non solo ha agito con una diagnosi errata, ma ha anche fornito ai genitori informazioni “totalmente inadeguate” sui rischi e sulla reale natura dell’intervento.

Dopo due perizie medico-legali e l’analisi di una vasta documentazione clinica, i giudici scrivono che è “inequivocabile la sussistenza di un nesso tra un’assistenza sanitaria incongrua e la gravissima patologia encefalica da cui è attualmente affetto il piccolo, rappresentata da un quadro di tetraparesi spastica e stato vegetativo”.

La condanna e il futuro del ragazzo

A dodici anni dai fatti, il tribunale ha condannato l’ospedale Meyer a risarcire circa 3,7 milioni di euro al ragazzo, oggi 16enne, e alla sua famiglia, tra danni morali, biologici e spese legali. I periti del giudice hanno sottolineato che, con cure farmacologiche adeguate, il decorso della malattia sarebbe stato molto diverso: la patologia avrebbe potuto lasciare solo danni limitati, consentendo al bambino una vita quasi normale.

Oggi, invece, il giovane vive in condizioni di tetraparesi spastica e stato vegetativo permanente, con un’aspettativa di vita stimata tra i 35 e i 40 anni. Una tragedia che, come evidenziato nella sentenza, “poteva e doveva essere evitata”, e che riaccende il dibattito sulla responsabilità medica e sulla corretta comunicazione tra strutture sanitarie e famiglie.

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