
In totale 141 anni di carcere e risarcimenti per milioni di euro a 300 parti civili. Legambiente: “Grande vittoria per il popolo inquinato. Ora si proceda con la bonifica del sedime inquinato”
Undici condanne e 4 assoluzioni, per 141 anni totali di carcere nei confronti degli imputati riconosciuti colpevoli del maxi inquinamento da Pfas delle acque superficiali, di falda e degli acquedotti del Veneto. È questa l’attesa sentenza della Corte d’assise di Vicenza, emessa dopo oltre sei ore di camera di consiglio. A quattro anni quasi esatti dall’apertura del processo (1 luglio 2021). Le pene inflitte agli imputati vanno dai 2 anni e 8 mesi ai 17 anni e mezzo. La Corte ha inoltre disposto il pagamento di risarcimenti alle oltre trecento parti civili ammesse (cittadini, Comuni, associazioni ed enti pubblici), tra cui la Regione Veneto e il ministero dell’Ambiente, che ha ottenuto un risarcimento di 58 milioni di euro.
Le undici persone condannate – rinviate a giudizio ad aprile 2021 dal Gup della Procura vicentina, Roberto Venditti – sono manager della Miteni e di società a essa legate, che a vario titolo erano accusati di avvelenamento di acque, disastro innominato, inquinamento ambientale ex articolo 452 bis e reati fallimentari. Si tratta di manager giapponesi della Mitsubishi Corporation (la Miteni era proprietà di Mitsubishi, poi è stata venduta al fondo lussemburghese Icig, ndr), della lussemburghese Miteni Icig e della Miteni stessa.
La vicenda giudiziaria riguarda l’inquinamento da sostanze perfluoroalchiliche, indicate comunemente come Pfas, che ha avuto come fonte principale lo scarico industriale della industria chimica Miteni di Trissino, in provincia di Vicenza. Inquinamento che ha segnato un territorio di trecentomila abitanti, estendendosi per oltre 100 km quadrati e contaminando la seconda falda acquifera più grande d’Europa.
«Un grande lavoro, a partire dalla prima denuncia nel 2014 del nostro circolo “Perla Blu” di Cologna Veneta e dall’avvocato Enrico Varali, coordinatore regionale del Centro di azione giuridica di Legambiente, che in questi anni si sono battuti per ottenere ecogiustizia. Con questa sentenza si chiude uno dei più grandi processi di inquinamento ambientale che la storia d’Italia ricordi – dichiara Stefano Ciafani, presidente nazionale dell’associazione ambientalista, presente in aula alla lettura della sentenza – Ora si proceda quanto prima alla bonifica del sedime inquinato, che ha provocato e continua a provocare una delle più estese contaminazioni acquifere con cui i cittadini veneti sono costretti a confrontarsi da decenni: dalle acque di falda – rese pericolose ai fini idropotabili e irrigui in un’area di più di 180 km quadrati – ai corsi d’acqua superficiali che attraversano quei territori esposti alla persistente presenza di questi forever chemicals, “inquinanti eterni”, con conseguenze negative per l’ecosistema, la salute e l’economia produttiva».
Esprime soddisfazione per la sentenza anche il presidente della Regione, Luca Zaia, che ricorda come la presenza di Pfas fu scoperta “nell’ambito di una ricerca sperimentale del Cnr e del ministero dell’Ambiente su inquinanti emergenti nei principali bacini fluviali italiani. In Veneto, gli inquinanti furono individuati nei corpi idrici della Valle del Chiampo, in corrispondenza dello stabilimento chimico Miteni di Trissino, poi rivelatosi la fonte primaria della contaminazione”. Alla Regione la sentenza riconosce un danno superiore ai 6,5 milioni di euro.
Dal nostro archivio: In attesa di una legge “Basta Pfas”
Per quanto riguarda la bonifica del sito produttivo, proprio negli scorsi giorni è arrivato un primo segnale: l’approvazione in Conferenza dei servizi del Comune di Trissino del “documento di analisi del rischio” propedeutico al progetto di bonifica, che dovrà portare all’elaborazione, entro fine anno, di un piano di bonifica del sito a cura di tutte le aziende coinvolte. Non è invece ancora stato attivato alcun percorso per quanto riguarda le acque di falda inquinate.
I Pfas sono presenti ormai ovunque. Si tratta, infatti, di sostanze chimiche di sintesi utilizzate in un’ampia varietà di applicazioni di uso comune grazie alle loro proprietà idro- e oleo-repellenti, oltre che ignifughe: dai rivestimenti delle scatole dei fast food e delle pentole antiaderenti alle schiume antincendio. Una volta dispersi nell’ambiente, i Pfas si degradano in tempi lunghissimi, contaminando fonti d’acqua e coltivazioni: l’esposizione a queste sostanze è stata associata a una serie di effetti negativi sulla salute, tra cui problemi alla tiroide, diabete, danni al fegato e al sistema immunitario, cancro al rene e ai testicoli e impatti negativi sulla fertilità. Recentemente, è stato scoperto che i Pfas aumentano anche il rischio di malattie cardiovascolari. Scoperta che non fa che rafforzare la richiesta della loro messa al bando.
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