Piazza per Gaza morfa in comizio referendum: dimissioni di Meloni? Gli italiani le chiedono a Spalletti e Gravina

Peccato: poteva essere una grande manifestazione di pace per accusare chi a Gaza continua a sterminare i civili. Invece, la si è voluta cambiare in una violenta requisitoria contro il governo e soprattutto contro Giorgia Meloni.

Trecentomila in piazza, la sinistra per una volta unita, le bandiere per la Palestina, le urla, gli attacchi contro una destra che rimane muta rispetto a quel che sta accadendo in quella striscia di terra, dove la parola fame diventa sempre più determinante.

I leader dell’opposizione ci sono tutti, schierati in prima linea con striscioni di protesta. Meglio, quasi tutti, perchè a casa sono rimasti Carlo Calenda e Matteo Renzi oltre a quella parte del Pd che non è schierata con Elly Schlein. Anzi, la vorrebbe far fuori il più presto possibile.

Giuseppe Conte, Nicola Fratoianni, Angelo Bonelli, oltre all’immancabile segretaria sono raggianti e felici, forse non se l’aspettavano un simile successo. Ecco perchè, eccitati da tanta gloria, si sono lasciati andare ed hanno trasformato un oceano di pace in un furioso attacco contro chi guida il Paese.

Da Gaza al referendum il passo è breve

Piazza per Gaza morfa in comizio referendum: dimissioni di Meloni? Gli italiani le chiedono a Spalletti e Gravina, nella foto landini della cigl
Piazza per Gaza morfa in comizio referendum: dimissioni di Meloni? Gli italiani le chiedono a Spalletti e Gravina (foto ANSA) – Blitz quotidiano

In un primo momento quasi sottovoce per poi esplodere senza ritegno e infischiandosene di quelle regole che vietano espressamente i comizi e le  campagne elettorali alla vigilia del voto.

“Vergogna”: è il sostantivo più usato dagli uomini e dalle donne che dominano dal palco la piazza. “Siete muti dinanzi a questo scempio”. “Mentre migliaia di bambini e di donne vengono trucidati, il governo continua a dare gratis le armi ad Israele”. “Come rispondete a queste parole?”.

La marea diventa sempre più furiosa ed è in quel momento che lo scenario cambia ed appare in tutta evidenza il “progetto” dell’opposizione o di quella parte che partecipa al comizio. Lo si può definire diversamente? Assolutamente no, perchè i quattro leader che rappresentano la sinistra lo dicono chiaramente dove vogliono arrivare: al voto di oggi e domani, al dire si o no a quei cinque quesiti a cui più di dodici milioni di elettori dovrebbero rispondere.

Rieccolo: Bersani

Bisogna andare al seggio, non al mare come predica la destra. Con le sue parole (è l’accusa)  Giorgia Meloni ha violato i princìpi della nostra democrazia. Infine, la chicca più pregiata: Pier Luigi Bersani (molti in verità lo avevano dimenticato) salire sul palco con un berrettino rosso in testa su cui è scritto sulla visiera: “SI”. Ma non era sabato il giorno del silenzio, quello della riflessione di chi dovrebbe andare a votare senza la pressione delle forze politiche? Per tutti, ma non per quelli che “sfruttano” l’eccidio di Gaza per convincere gli elettori a recarsi al seggio e votare come piace a loro. È o non è questa una chiara violazione del silenzio elettorale?

“Il governo è troppo amico di Israele che non condanna quel boia di Netanyahu”, grida la folla più inferocita. Queste proteste e queste indignazioni ci possono stare, quel che doveva essere evitato è propagandare il voto in un giorno in cui tutti debbono rimanere in silenzio.

Un progetto ben studiato dagli organizzatori? Non è azzardato dirlo, perchè in effetti tutto si è svolto secondo i piani prestabiliti. In via del Nazareno sono entusiasti e ottimisti. Il risultato? Potrebbe essere diverso da quel che prevedono gli esponenti della maggioranza.

Francesco Boccia, il senatore capo gruppo del Pd a Palazzo Madama, ragiona e cerca di dimostrare quanto segue: “Se la premier ha preso 12 milioni e quattrocentomila preferenze alle politiche e al referendum si presenteranno poche migliaia di persone in meno, la Meloni ne dovrebbe trarre le conseguenze”. In parole semplici: la premier dovrebbe lasciare la poltrona di Palazzo Chigi su cui dovrebbe sedersi, indovinate chi? Elly Schlein che ha non pochi amici- nemici nel Pd.

Il governo non può più rimanere in silenzio, dunque. “Deve gridare forte che bisogna riconoscere lo Stato della Palestina”, continuano a predicare dal palco personaggi desueti che approfittano dell’occasione per farsi pubblicità e tornare alla ribalta, sia pure per poche ore.

Come trascorreranno queste giornate infuocate quelle persone  che  non ci penseranno nemmeno a scrivere si o no sulle cinque schede? Parleranno di altro, soprattutto di calcio e della disfatta degli azzurri contro la Norvegia. “Inguardabili”, è stato scritto. Il commissario tecnico della nazionale, Luciano Spalletti e il presidente della federazione  Gabriele Gravina di dimissioni non ne parlano. Diceva un tempo Giovanni Spadolini: “Questo è un sostantivo che il vocabolario italiano ha cancellato”. Si può ancora oggi dargli torto?

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