
I governi del mondo hanno promesso di proteggere il 30% delle terre e dei mari e di ripristinare il 30% degli ecosistemi degradati entro il 2030. Un obiettivo ambizioso che senza risorse finanziarie concrete rischia di restare uno slogan
di PAOLO MORI*
Sul sito Forest News Robert Nasi, direttore generale di Cifor-Icraf, un importante centro internazionale di ricerca forestale con sedi in Indonesia e Kenya, ha pubblicato un editoriale che merita attenzione. Parla di biodiversità, di soldi e, soprattutto, di scelte politiche. Secondo Nasi, “oggi oltre un milione di specie animali e vegetali rischiano di scomparire. Gli scienziati stimano che la rete di vita che sostiene il nostro pianeta si stia sgretolando da 100 a 1.000 volte più velocemente rispetto ai ritmi naturali”. Al di là della precisione dei numeri, che nel dibattito scientifico purtroppo possono essere talvolta “alzati” per scuotere la politica, il fenomeno è reale e preoccupante: stiamo perdendo biodiversità a una velocità mai vista.
Gli esempi sono davanti agli occhi di tutti gli osservatori internazionali: dalle foreste amazzoniche al Bacino del Congo, fino alle giungle del Sud-est asiatico, interi ecosistemi vitali stanno scomparendo a causa di pratiche umane insostenibili. Eppure, almeno sulla carta, la comunità internazionale si è impegnata ad agire. Nel 2022, i governi del mondo hanno firmato il “Kunming–Montreal Global Biodiversity Framework”, promettendo di proteggere il 30% delle terre e dei mari e di ripristinare il 30% degli ecosistemi degradati entro il 2030. Un obiettivo ambizioso, ma senza risorse finanziarie concrete rischia di restare solo uno slogan. Oggi, infatti, il divario di finanziamento per conservare la biodiversità è stimato in 700 miliardi di dollari all’anno.
E qui arriva la parte più sorprendente dell’analisi di Nasi: “i soldi ci sono già, ma li stiamo usando nel modo sbagliato. Ogni anno, oltre 2.600 miliardi di dollari – una cifra pari all’incirca all’intero Pil dell’Italia – vengono spesi per sussidi e incentivi che sostengono attività dannose per la natura: agricoltura intensiva insostenibile, pesca distruttiva, combustibili fossili”.
Secondo Nasi, se anche solo una parte di queste risorse fosse riconvertita per proteggere le foreste, ripristinare i terreni degradati e sostenere pratiche agricole più rispettose dell’ambiente, potremmo mettere in campo il più grande piano di salvataggio della biodiversità mai realizzato. Non servono tecnologie futuristiche o miracoli: servono scelte politiche coraggiose, capaci di dirottare i fondi da ciò che danneggia a ciò che sostiene la vita.
Naturalmente, questa trasformazione non sarebbe indolore. Ho personalmente chiaro che riconvertire oltre 2.600 miliardi di dollari di sussidi significa toccare interessi enormi. Milioni di posti di lavoro dovrebbero essere riorganizzati; bisognerebbe garantire cibo, energia e trasporti a quasi 9 miliardi di persone in un sistema economico profondamente trasformato. Non si tratterebbe di un cambiamento né semplice, né rapido. Ma, come conclude Nasi, “il momento di agire è adesso”. La vera domanda non è se possiamo permetterci di farlo, ma se possiamo permetterci di non farlo.
*Rivista Sherwood – Foreste ed Alberi Oggi
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