(Adnkronos) – (dall’inviata Elvira Terranova) – “Dopo lo stupro di gruppo non avevo più voglia di vivere. Una sera mi misi a correre lungo i binari e volevo lanciarmi contro un treno in corsa. Volevo farla finita…”. Un racconto drammatico, tragico, durato oltre cinque ore e mezzo, in cui ‘Silvia’, il nome è di fantasia, racconta tra le lacrime e i singhiozzi, quanto sarebbe accaduto nella notte tra il 6 e il 7 luglio del 2019 nel residence di Beppe Grillo, a Porto Cervo, dove, secondo la denuncia della giovane, si sarebbe consumata una violenza sessuale di gruppo. Sul banco degli imputati Ciro Grillo, figlio del fondatore del M5S, con i suoi tre amici: Edoardo Capitta, Francesco Corsiglia e Vittorio Lauria. Nessuno di loro oggi è presente in aula ad ascoltare il racconto della giovane italo-norvegese, che all’epoca dei fatti aveva appena 19 anni. Ha anche raccontato che dopo il presunto stupro avrebbe ripetuto più volte degli atti di autolesionismo. “Mi tagliuzzavo e mi graffiavo volutamente”, racconta. E dice di avere avuto anche “disturbi alimentari importanti”. “Mangiavo e poi vomitavo”, racconta. “Assumevo sostanze per farmi del male”, dice. “Mi drogavo, non volevo ricordare quello che mi era accaduto”. Droghe anche pesanti. Eccola, Silvia, magrissima, alta 1.80 m e poco più di 50 kg, è una ragazza molto provata. E’ arrivata poco dopo le 11.30 da un ingresso secondario del Tribunale di Tempio Pausania (Sassari), a bordo dell’auto della sua legale, l’avvocata Giulia Bongiorno, che rappresenta la parte civile, insieme con gli avvocati Dario Romano e Beatrice Nunzi. Con un tutore al piede, per un incidente avvenuto di recente, arriva da una porta secondaria fino in aula, indossando un cappellino e la mascherina per non farsi riconoscere.