Emanuela Orlandi, Pino Nicotri: “Ecco cosa ho detto alla commissione parlamentare d’inchiesta”

“Sono diventato giornalista grazie al mio primo libro, “Il Silenzio di Stato”, perché ho fatto crollare la pista anarchica della strage di piazza Fontana del 12 dicembre 1969.

“L’Espresso ci ha fatto su una campagna partendo dal contenuto del mio libro, che ha permesso di vedere tutte le manovre dei servizi segreti militari, le implicazioni nella loro protezione dei nazifascisti veneti anche per quanto riguarda le bombe del 1969, che poi sono sfociate nella strage di piazza Fontana. Mi dovete perciò scusare se non vi racconterò di codici, allusioni e messaggi misteriosi, ma starò invece più sul concreto”.

Queste sono le parole con le quali mi sono presentato alla commissione parlamentare istituita per le scomparse di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori. Come non è molto noto perché i principali giornali e le televisioni spesso non parlano delle audizioni, sono stato audito lo scorso 10 ottobre. Ho preferito non scriverne subito per evitare polemiche a botta calda per le imprecisioni apparse sula stampa  e perché ho avuto problemi che avrei preferito non avere e che purtroppo mi hanno tenuto molto occupato.

La mia opinione sul caso Orlandi

Pino Nicotri
Emanuela Orlandi, Nicotri teste, ecco cosa ho detto alla commissione parlamentare d’inchiesta – Blitzquotidiano.it (foto Ansa)

Dopo quelle parole ho ribadito il concetto e sono entrato subito nel concreto aggiungendo:

“Mi dovete scusare se non vi rifilo codici, messaggi e interpretazioni magiche”. Ho invece portato alla Commissione una chiavetta USB con sei file di testo e due file sonori. Uno è un mio dialogo con monsignor Civitillo, insegnante di Emanuela Orlandi alla scuola di musica, nonché confessore nella chiesa di Sant’Anna, la chiesa del Vaticano, dove si sente la viva voce di don Gaetano Civitillo che dice: “Io agli studenti che abitavano in Vaticano davo passaggi, li riportavo a casa con la mia auto. Anche Emanuela, che purtroppo poi prese l’abitudine di tornare con ragazzi e amici suoi. Però, io la portavo. Anzi, ho detto alla madre che era un po’ di tempo che Emanuela doveva avere dei problemi, perché non studiava più, non rendeva”

Questo per chiarire rispetto ad affermazioni, fatte anche recentemente da Pietro Orlandi, secondo cui “Emanuela non accettava passaggi in macchina da nessuno, neppure dal suo insegnante don Civitillo”.

Ma andiamo per ordine.
Sui giornali che ne hanno scritto ho letto che:
1) – avrei indicato “la pista familiare” e la pista “amical familiare”,
2) – avrei fatto secretare gran parte dell’audizione
3) – e avrei consegnato al senatore Andrea De Priamo, presidente della commissione, “otto file segreti”.

Riguardo il primo punto, specifico che NON ho indicato “la pista familiare”. La famiglia di Emanuela era composta dai genitori, un fratello, tre sorelle e una zia che viveva con loro. NON mi è mai saltato in mente neppure da lontano di sospettare di qualcuno di loro come colpevole della scomparsa di Emanuela. Ho indicato semmai, come faccio da molto tempo e come impone la realtà statistica delle scomparse di minorenni, la pista “amical parentale”, cioè del giro dei parenti e dei loro amici.

Anzi, ho anche indicato piste totalmente estranee alla famiglia e al relativo parentado e annessi giri di amicizie. Si tratta in primo luogo della vicenda che ho segnalato nel giugno dell’anno scorso quando sono stato interrogato dal magistrato Alessandro Diddi,  Promotore di Giustizia del Vaticano.

Parla il monsignore

Al magistrato non ho fatto altro che ripetere quanto mi aveva detto anni fa monsignor Francesco Saverio Salerno, dal gennaio 1997 segretario della Prefettura degli affari economici della Santa Sede, ufficio abolito il 30 dicembre 2016, tre settimane prima della morte del monsignore.

Ho fatto inoltre rilevare alcuni particolari che non escludono affatto dai sospettabili il fotografo romano Marco Fassoni Accetti famoso “reo confesso”  e l’ambiente del programma televisivo Tandem della Rai, a una puntata del quale Emanuela aveva partecipato  il 20 maggio. Vale a dire un mesetto prima di sparire.

Riguardo il secondo punto, ho chiesto la secretazione solo per quanto riguarda ciò che avevo da dire – e che ho detto – sulle prime ore e i primissimi giorni di comportamento degli Orlandi e di Mario Meneguzzi, zio acquisito di Emanuela in quanto marito della sorella Lucia di suo padre Ercole.

Ho riferito e messo in risalto solo fatti certi, accertabili e accertati in quanto fatti noti e provati. Compresa la falsità della notizia che in Vaticano si temessero rapimenti per avere un ostaggio da scambiare con la scarcerazione di Alì Mehmet Agca, il fanatico islamista turco condannato all’ergastolo perché nell’81 aveva attentato alla vita di Papa Wojtyla sparandogli con una pistola in piazza S. Pietro.

E compresa anche la diffidenza dei magistrati Margherita Gerunda e Domenico Sica, i primi incaricati dell’inchiesta sulla scomparsa di Emanuela, nei confronti di Mario Meneguzzi. Sica tentò di metterlo sotto controllo quanto meno facendolo pedinare e sul conto del quale chiese e ottenne conferma dalla Segreteria di Stato della proposta di vivere assieme fatta  cinque anni prima alla nipote Natalina, sorella maggiore di Emanuela.

Inoltre alcuni membri della commissione hanno chiesto la secretazione delle loro domande e delle mie risposte. In totale forse le loro secretazioni superano come durata quella chiesta da me.

Per quanto riguarda invece il terzo punto, quello degli “otto file segreti”, di segreto non c’è nulla. Si stratta di sei file di testo e due file sonori. I sei file di testo elencano fatti certi, noti, provati e quindi incontrovertibili, che permettono di farsi un’idea della non eccelsa credibilità di altrettanti rumorosi protagonisti a vario titolo della vicenda.

I due file sonori contengono invece rispettivamente lo spezzone di una mia telefonata del 2002 all’avvocato Gennaro Egidio, già legale degli Orlandi, che si dimostra a conoscenza, confermandolo implicitamente,  del fatto che “Sica ha indagato poco e niente perché convinto che fosse una storia tra Emanuela e suo zio Mario Meneguzzi”.

L’altro file sonoro contiene, come già detto, la registrazione di una mia conversazione avvenuta in confessionale con don Gaetano Civitillo, insegnante di pianoforte di Emanuela nella scuola di musica Ludovico da Victoria nonché direttore del coro e confessore della chiesa parrocchiale vaticana di S. Anna. Conversazione “confessione” avvenuta in S. Anna il giorno 23 aprile 2013 e da me già citata in libri e articoli. E conversazione nel corso della quale, come già detto,  don Civitillo spiega che lui a volte dava passaggi in macchina a Emanuela per riportarla in Vaticano e che aveva avvisato sua madre che la ragazza negli ultimi tempi non studiava, “non rendeva”, forse aveva qualche problema.

Da notare che quanto detto da don Civitillo contraddice in modo clamoroso quanto Pietro Orlandi insiste a dire da tempo.  E cioè che Emanuela il giorno della scomparsa non può essere salita sull’auto di qualcuno “perché non accettava passaggi neppure dal suo insegnante don Civitillo”.

A  conti fatti il caso avrebbe potuto essere risolto in pochi giorni o al massimo settimane se, tolto d’autorità alla Gerunda, non fosse stato dirottato verso il complotto internazionale del rapimento da utilizzare come merce di scambio per la scarcerazione di Alì Agca.

In precedenza la giornalista statunitense Claire Sterling, con gioia se non su input della CIA e della Segreteria di Stato, aveva lanciato la “pista bulgara”, che consisteva nel sostenere che Agca era stato assoldato come killer dai servizi segreti bulgari per conto dell’allora esistente Unione Sovietica. Il Cremlino voleva  porre fine al massiccio sostegno, anche finanziario, che il Papa polacco Karol Wojtyla dava al sempre più forte movimento anticomunista e antisovietico della natia Polonia.

Ai primi di luglio ’83, meno di due settimane dalla scomparsa di Emanuela, il Sisde, come si chiamavano allora i nostri servizi segreti civili, recapitava alla Gerunda una informativa che in realtà anziché informare ipotizzava: ipotizzava cioè che Emanuela fosse stata “rapita per essere forse scambiata con Agca”.

E’ ormai accertato, ammesso anche dall’allora ministro della Difesa Lello Lagorio, che Agca è stato imbeccato e pilotato dal Sisde per sostenere la pista bulgara, “rivelando” di avere sparato a Wojtyla su incarico della Bulgaria. Che ovviamente agiva per conto di Mosca.
Insomma, la tragedia della scomparsa di una ragazza è stata usata come episodio della “guerra fredda”, come si chiamava allora il fronteggiarsi degli USA e della NATO con l’Unione Sovietica.

Ecco come si è dato inizio ai finora ai 41 anni e 4 mesi di chiacchiere: pardòn, di “rivelazioni clamorose”. Man mano diventate un vero e proprio show dalla infinite puntate.

 

 

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