Mentre con il sostegno dell’Aeia procedono le attività di scarico in mare delle acque contaminate, in Giappone non si placa la protesta contro il governo. A partire dalle associazioni di pescatori, che si rivolgono a un tribunale locale. La prima fase delle operazioni ha portato al rilascio del solo 0,6% del totale
Il 24 agosto scorso il governo giapponese, in accordo con la Tepco (Tokyo Electric Power Company), ha avviato lo sversamento nell’oceano delle acque radioattive contenute nei serbatoi della centrale nucleare di Fukushima Daiichi. La decisione, legata alla mancanza di spazio per lo stoccaggio, aveva suscitato preoccupazioni e proteste da parte dei Paesi limitrofi, Cina e Hong Kong su tutti, delle associazioni ambientaliste e dei pescatori della regione del Tohoku. I pescatori giapponesi, in particolare, si sono dichiarati preoccupati di subire ulteriori danni economici dopo quelli procurati dallo tsunami del 2011. In risposta a queste preoccupazioni, il governo giapponese ha più volte assicurato di procedere nel rispetto degli standard internazionali: l’acqua in questione verrebbe infatti trattata tramite un sistema di filtraggio che permette di eliminare la maggior parte degli elementi radioattivi, ad eccezione del trizio, il quale sarebbe ulteriormente diluito con acqua di mare fino al raggiungimento degli standard normativi.
A sostegno delle operazioni di sversamento in mare è intervenuta l’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aeia), che ha garantito la sua presenza sul posto per tutto il tempo delle attività, ribadendo in più occasioni che tutte le centrali nucleari del mondo scaricano abitualmente acqua trattata contenente trizio e altri radionuclidi. Durante questa prima fase di sversamento, inoltre, sia la Tepco che l’Aiea hanno avviato il monitoraggio delle acque del mare. Sul sito dell’azienda energetica vengono riportati quotidianamente i dati delle concentrazioni di trizio nel mare, che sembrano restare ben al di sotto del limite stabilito (1500 becquerel per litro).
L’Aiea, dal canto suo, ha aperto una pagina web in cui fornisce in tempo reale dati sullo scarico delle acque, inclusi la loro portata, il monitoraggio delle radiazioni e la concentrazione di trizio dopo la diluizione. L’Agenzia ha inoltre avviato analisi indipendenti tramite il campionamento dell’acqua del mare proveniente da località entro i 3km dal sito. In un rapporto pubblicato l’8 settembre sul suo sito, l’Aiea conferma i dati della Tepco, in base ai quali gli scarichi avrebbero un impatto radiologico trascurabili su persone e ambiente.
Tuttavia, nonostante queste rassicurazioni, lo scorso venerdì circa 150 cittadini, tutti residenti nelle prefetture di Miyagi e di Fukushima, si sono rivolti al tribunale locale per intentare una causa legale contro il governo e contro la Tepco: chiedono che venga annullata l’approvazione di regolamentazione nucleare delle strutture installate, con la conseguente sospensione dei lavori. Secondo i querelanti, queste operazioni minaccerebbero “il diritto dei cittadini a vivere in sicurezza, ostacolando le attività dei pescatori locali”. Da quanto riportato dall’agenzia Kyodo, una seconda causa legale potrebbe essere intentata il prossimo mese. La Tepco ha dichiarato che esaminerà il dossier per poter rispondere in modo appropriato ai cittadini, mentre l’Autorità di regolamentazione nucleare (Nra) ha riferito di non aver ancora ricevuto il ricorso legale. La prima fase dello sversamento, conclusasi oggi 11 settembre, ha portato allo scarico di circa 7.788 tonnellate di acqua, pari a circa lo 0,6% degli 1,34 milioni totali.