
Il nostro governo dovrà intervenire entro due mesi e adeguarsi alle normative europee prima che Bruxelles decida di inviare un richiamo formale
La Commissione europea ha inviato una lettera di costituzione in mora all’Italia per il mancato recepimento completo della direttiva 2010/75/UE sulle emissioni industriali. Inoltre, il nostro Paese non ha applicato correttamente alcune disposizioni fondamentali, con riferimento all’impianto siderurgico di acciaierie d’Italia (ex Ilva) di Taranto.
L’obiettivo è quello prevenire e ridurre l’inquinamento prodotto dalle attività industriali, a tutela della salute pubblica e dell’ambiente. Tuttavia, una sentenza della Corte di Giustizia dell’Ue, datata 25 giugno 2024 (C-626/22), ha stabilito che la normativa italiana risulta inadeguata rispetto ai parametri europei. Nello specifico, non tiene conto dell’impatto degli impianti sulla salute umana e non prevede sospensioni delle attività in caso di pericolo immediato per l’ambiente o per la salute dei cittadini, contravvenendo così alla normativa comunitaria. L’Italia inoltre, non garantisce che l’impianto di acciaierie d’Italia di Taranto funzioni in conformità con la legislazione dell’Ue in materia di emissioni industriali, con gravi conseguenze per la salute umana e l’ambiente.
La Commissione ha quindi richiesto formalmente di intervenire entro due mesi per sanare le violazioni, riservandosi, in caso contrario, di proseguire la procedura con l’invio di un parere motivato.
Un’altra procedura di infrazione è stata avviata in tema di governance societaria. La Commissione europea ha inviato all’Italia una lettera di costituzione in mora per il recepimento incompleto della direttiva europea sui diritti degli azionisti nelle società quotate. Tale direttiva promuove una partecipazione più attiva e responsabile degli azionisti, rafforzando trasparenza e controllo all’interno delle aziende.
Secondo Bruxelles, la legislazione italiana ostacola il diritto degli azionisti di scegliere liberamente il proprio rappresentante per partecipare alle assemblee generali, imponendo un rappresentante designato dalla società stessa. Una pratica che limita anche la facoltà degli azionisti di presentare proposte di delibera su tutti i punti all’ordine del giorno, comprese eventuali modifiche successive. La Commissione sottolinea come ciò costituisca una violazione dei principi previsti dalla direttiva e penalizzi i rappresentanti degli azionisti, privandoli di diritti di intervento e proposta. Anche in questo caso, l’Italia dispone di due mesi per adeguare la normativa nazionale alle disposizioni europee, prima che Bruxelles possa procedere con l’emissione di un parere motivato.
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