Nelle stanze di Riccardo III

Riccardo III di Paolo Pierobon

‘La versione dell’opera di Shakespeare della regista Kriszta Székely, con Paolo Pierobon come protagonista, rimette le donne al centro della scena’ 

Tra le recenti versioni di Riccardo III, quella firmata dalla regista ungherese Kriszta Székely, con Paolo Pierobon, produzione Stabile di Torino, è sembrata la più sensata. Fin dalla prima scena lo spettatore comprende che non si sta parlando esattamente della Guerra delle due rose, dei Lancaster e degli York, e cioè del contesto storico dell’opera, né genericamente di politica e potere. Il modo con cui gli attori, immersi in un ambiente avvolgente, iperrealistico, mettono in scena una qualsiasi riunione di un qualsiasi consiglio d’amministrazione di una grande impresa che muove fatturati da capogiro, ci fa entrare subito, senza manifesti programmatici, in una delle stanze in cui il sangue è solito sgorgare direttamente dai guanti bianchi. 

Kriszta Székely ha ragionato a lungo, non solo sugli uomini ma anche sulle donne di Riccardo III, in genere messe da parte. A cominciare da Anna (Lisa Lendaro), che dopo aver ceduto alla seduzione del maligno di fronte al cadavere del marito che Riccardo le aveva appena ucciso (è mai stata scritta scena più drammatica?) diventa preda di uno stato quasi sonnambolico che racconta perfettamente l’effetto esercitato dalla giostra spettacolare e macabra sulla quale anche lei, alla fine, è salita. Ma a ogni personaggio viene riservata la giusta attenzione. 

Per quel che riguarda il protagonista, Paolo Pierobon si conferma un attore prodigioso. L’abbiamo appena visto al cinema nel ruolo di Papa Pio IX, nel magnifico film di Bellocchio, Rapito. Il suo approccio interpretativo al tema del male lo discosta da versioni più esteriori. Anche con il Riccardo III, riesce a lavorare su una materia sottile: camminata sbilenca e sorriso levantino rivelano non solo la brama di potere ma anche il deserto della sua anima ferita, il dolore della nascita. Notevoli anche gli altri attori, tra cui Manuela Kustermann nel ruolo della madre Cecilia. A Francesco Bolo Rossini il compito di mutare pelle: da vittima (Edoardo) a complice (il presidente della Corte suprema).