Ben ritrovati e bentornati a Pianeta2030! Dopo la pausa estiva torna la newsletter di rassegna stampa sul clima che cambia con una selezione di notizie di politica, economia, cultura e stili di vita dall’Italia e dal mondo. In questo numero il futuro (in ballo) del Green Deal, la difesa ecuadoriana dell’Amazzonia, le tensioni per le foreste di eucalipto in Portogallo, il dark side dell’elettrico cinese, il nuovo volto (verde) di Bruxelles e molto altro. Buona lettura!
Green Deal, rischio voltafaccia?
Partiamo dalla politica, mercoledì 13 settembre varrà ben la pena di ascoltare cosa dirà la Presidente della Commissione europea nel consueto (e quest’anno molto atteso) discorso sullo stato dell’Unione. Secondo alcuni osservatori Bruxelles potrebbe anche mettere in pausa il Green Deal ovvero l’anima delle strategie Ue in fatto di neutralità carbonica e fulcro del primo mandato della stessa Ursula Von der Leyen (Politico). Da mesi il Piano sembra raccogliere sempre meno consensi nei governi di alcuni Paesi come dimostrerebbe il fatto che a luglio, solo per citare un esempio, la maggioranza europea si è spaccata proprio sulla legge per il ripristino della natura e stavolta tra i contrari figuravano anche la Francia di Macron e il Belgio di De Croo (Il Foglio). Secondo molti osservatori diversi esecutivi nel Vecchio continente sono sempre più preoccupati dai costi della transizione ecologica per imprese e cittadini in un contesto di fragilità finanziaria e d’inflazione pesantissima. Anche il sostegno convinto della Germania che con Angela Merkel era stata tra le promotrici del Piano non è più così granitico. Nonostante la forte presenza dei verdi il governo del cancelliere Olaf Scholz è sempre più spaccato al suo interno proprio sulle politiche ambientali. A chiudere un cerchio non proprio roseo il Green Deal ha perso uno dei suoi più strenui sostenitori, l’olandese Frans Timmermans che dopo essersi speso con successo per avviare il Green Deal a sorpresa si è fatto lusingare dall’ipotesi di diventare primo ministro lasciando con 10 mesi di anticipo il delicato ruolo di responsabile europeo per il Green Deal (Euronews).
Ecuador, un secco no
A metà agosto con il 90% dei voti contrari gli ecuadoriani hanno palesato il loro secco no alle esplorazioni petrolifere all’interno del “Blocco 44” nel Parco Nazionale Yasuni, area protetta dell’Amazzonia di circa un milione di ettari che ospita due tribù indigene e una delle maggiori biodiversità del mondo. La decisione è stata un duro colpo alla politica del presidente Guillermo Lasso che ha sempre definito le trivellazioni nell’area cruciali per l’economia del Paese (The Hindu). Per i cittadini evidentemente non è così e ora la compagnia statale Petroecuador, che aveva già avviato diverse attività, dovrà smantellare i cantieri nel giro dei prossimi mesi.
Eucalipti portoghesi
Con un titolo molto pesante (“Potrebbe sostituire la plastica, ma gli imballaggi in carta di eucalipto hanno contribuito a bruciare la mia casa”) il sempre ottimo Climate Home News apre uno spaccato sul doppio volto delle foreste di eucalipto che alimentano l’industria degli imballaggi in carta buoni per sostituire quelli in plastica. Il Portogallo ha la più grande area di piantagioni di eucalipto al mondo in proporzione alle dimensioni, il 25% della terra boschiva nazionale, ed è il più grande produttore europeo di pasta di eucalipto. Tra questo mercato e quello della carta l’export derivante dalla pianta rappresenta l’1,5% del Pil nazionale. L’eucalipto cresce molto velocemente, ha un rendimento elevato, è facile da accogliere, tutti dati che pesano sulle decisioni politiche ma anche sulla vita del Paese. L’eucalipto infatti richiede molta acqua e la corteccia come le foglie sono altamente infiammabili.
Sulla violenza e la velocità di propagazione dei roghi che hanno colpito il Portogallo anche questa estate e che ormai devastano il Paese dal 2017, allora il bilancio estivo fu di 120 vittime e la perdita del 5% del territorio nazionale (mezzo milione e di ettari di terreno), secondo molti pesa proprio la massiccia presenza di eucalipti. Tanto che negli ultimi cinque anni il governo ha regolamentato la produzione di monocoltura eppure dopo i roghi del 2017 gli eucalipti sono stati tutti ripiantati e ora, in nome della sostenibilità e del contrasto alla plastica sempre più aziende stanno aumentando la superficie piantata a eucalipto. Il Parlamento europeo questo autunno dovrebbe votare sulla riduzione degli imballaggi monouso, vedremo se si discuterà anche dell’impatto delle monocolture di eucalipto.
Auto, il dark side dell’elettrico cinese
Monumenti a quel che il progresso incontrollato del trasporto elettrico può generare, così più o meno vengono definiti i cimiteri spontanei di auto elettriche che si trovano in molte città cinesi da qualche anno. I giornalisti di Bloomberg sono andati a visitarne alcuni, come quello nella città di Hangzhou, dove centinaia di auto giacciono parcheggiate una accanto all’altra, così vicine da non poter neanche aprire gli sportelli.
Per lo più veicoli in ottime condizioni, modelli ancora appetibili finiti in un cono d’ombra nel più grande mercato mondiale di auto elettriche. La Cina è leader nel settore e ha la più ampia rete di ricarica al mondo. Quei cimiteri sono la contropartita di un mercato esploso in poco più di 10 anni trainato da iniezioni di incentivi statali che hanno spinto le case automobilistiche tradizionali a investire nella produzione di continui nuovi modelli green e tanti ad aprire start up di ride-hailing elettrico (noleggio con autista tramite App). Il mercato è cresciuto così rapidamente da aver generato un turn over di modelli sempre più compulsavo, quando poi il mercato ha iniziato a saturarsi molte società di ride-hailing sono fallite dalla sera alla mattina (Bloomberg Business) e così sempre più persone hanno iniziato ad abbandonare le auto elettriche in parcheggi improvvisati in zone periferiche.
India, prove di leadership energetica
L’India vuole diventare il più grande esportatore di energia elettrica rinnovabile del Sud est asiatico. Accordi con Singapore e Thailandia sono in questi giorni al centro delle trattative del governo Modi che già vende energia a Nepal, Bangladesh, Bhutan e Myanmar (The Diplomat). Del resto l’itera regione sta vedendo crescere in modo verticale il suo fabbisogno di energia spinto dalla crescita economica e il tema è sempre più politico.
L’India, per anni molto restia a prendere impegni sul taglio delle emissioni e ancora molto legata al carbone (ne abbiamo parlato nel nostro Podcast Pianeta2030) ha però fatto un balzo notevole nella produzione di energia rinnovabile con una capacità installata cresciuta da 115,94 GW del 2018 a 172 GW nel 2023.
Iperboli dannose
La verità sul riscaldamento globale è già abbastanza grave, certe iperboli possono essere dannose e minare la nostra capacità d’azione. È l’opinione di un interessante editoriale firmato da Pilita Clark (Financial Times) che prende spunto dalla confusione che si sta generando in rete e che vede molti utenti considerare una serie di eventi (come i picchi di caldo) automaticamente dei tipping point, punti di non ritorno nei cambiamenti climatici forieri di un effetto domino. Clark va oltre e mette in guardia da quello che ormai molti definiscono “doomismo climatico”, la tendenza a parlare della crisi ecologica come se ormai fosse troppo tardi. Il rischio, spiega, è fare il gioco dei negazionisti climatici generando lo stesso rifiuto ad agire, nel caso del doomismo per una sorta di rassegnazione. Ogni decimo di grado sottratto al riscaldamento globale, scrive, “può far la differenza, l’immobilismo è un lusso che non è rimasto più a nessuno”.
Pilita Clark non è l’unica a ragionare su certe dinamiche culturali e comunicative. Secondo la saggista statunitense Rebecca Solnit (l’ultimo suo libro edito uscito in Italia è Le Rose di Orwell) è in atto una tendenza pericolosa, un pessimismo e disfattismo di fondo che “non serve a niente”. I disfattisti del clima, secondo molti, hanno un’influenza maggiore dei negazionisti. “Ho l’impressione che le persone si impegnino più a cercare nuove prove del fatto che abbiamo perso che ha inseguire una vittoria”. (Internazionale 25/31 agosto, The Guardian).
Lentamente
Parlando di soluzioni pratiche uno studio pubblicato su Ecological Economics sostiene che fissare il limite di velocità a 130 chilometri orari su tutte le autostrade tedesche porterebbe un risparmio di quasi 300 milioni di euro in termine di benessere grazie alle emissioni di CO2 evitate. Secondo i dati dell’Agenzia federale per l’ambiente tedesca (UBA) un limite a 120kmh farebbe risparmiare circa 6,7 MtCO2e ogni anno (Carbon Brief).
Le emissioni dei trasporti privati tedeschi sono rimaste più o meno le stesse per più oltre 25 anni, anzi sono addirittura cresciute dell’1% nel 2021 e il settore è tra i pochi che non ha visto politiche di decarbonizzazione. Qualcosa sta cambiando perché dall’approvazione della prima legge nazionale sul clima nel 2019 le pressioni per introdurre un limite di velocità unico sulle autostrade tedesche sono aumentate. Bisognerà capire se un governo sempre più diviso proprio sull’ambiente riuscirà a modificare le abitudini di guida di un intero Paese.
Il nuovo volto di Bruxelles “la verde”
Dieci anni fa Bruxelles figurava tra le città più congestionate d’Europa e in media ogni cittadino passava 83 ore all’anno bloccato nel traffico. Il vento è iniziato a cambiare nel 2020 con l’avvio della strategia “Good move” con cui l’amministrazione locale ha creato 50 zone a traffico limitato in tutta la città pedonalizzando del tutto alcune strade (Will Media). Il lockdown da Covid19 arrivato dopo un paio di settimane dalla decisione ha permesso alle istituzioni di prendersi il tempo necessario per ridisegnare la viabilità cittadina senza impattare pesantemente sulla circolazione quotidiana. Oggi la città gode di 40 chilometri di nuove piste ciclabili, il limite di velocità è a 30Km/h nel centro città e sono arrivate nuove pedonalizzazioni. Risultato: nel 2017 il 64% dei chilometri cittadini si percorreva in auto, nel 2022 la quota è scesa al 49%.
Una possibile nuova vita al poliuretano
In molti hanno tentato per anni di trovare una ricetta chimica accettabile dal punto di vista ambientale per riciclare il poliuretano e dare così una seconda vita a un materiale presente in grande quantità ovunque, nelle scarpe, nei materassi, negli interni delle auto e in molti scarti industriali che fino ad oggi avevano solo la discarica come punto di atterraggio. Ora un gruppo di ricercatori della statunitense Northwestern University ha annunciato un nuovo sistema di riciclo del poliuretano tramite catalizzatori non tossici a base di zirconio che permetterebbero di rimodellare il polimero plastico re-immettendolo nel processo industriale e assicurando anche un riuso degli scarti ambientali (Rinnovabili.it)
Pole position e nuovi mercati
Pechino è sulla buona strada per diventare leader anche nel riciclaggio degli scarti dell’energia verde, dai pannelli fotovoltaici alle componenti degli impianti eolici. Dopo aver più che doppiato nel 2022 gli Usa per energia solare ed eolica prodotta nonostante il maxi piano verde da 40 miliardi di dollari fortemente voluto da Joe Biden (Pianeta2030) ora il Dragone sta investendo sul mercato più che redditizio del fine vita delle rinnovabili.
Prima di tutto ci sono da smaltire le componenti dei mega parchi eolici e fotovoltaici cinesi dei primi anni Duemila che si stanno avvicinando al loro fine vita (Reuters). Pechino pensa di farlo sfruttando i grandi centri di riciclaggio industriale già presenti in molte aree del Paese e ben collegati tramite infrastrutture rodate come ferrovie, strade e reti fluviali alle zone commerciali del Paese. L’agenzia internazionale per le energie rinnovabili (Irena, segnatevi questo acronimo perché nei prossimi anni ne sentiremo sempre più parlare) stima che i rifiuti totali del solare saranno circa 212 milioni di tonnellate entro il 2050. Solo la Cina dovrebbe riciclare almeno 1,5 milioni di tonnellate per il fotovoltaico entro il 2030, 20 milioni entro il 2050 (Climate Home News). Un settore in rapidissima crescita su cui Pechino vuole posizionarsi da subito come leader.
Le isole verdi di Amman
Negli ultimi cinque anni la mappa della Capitale giordana si è arricchita di alcune piccole aree verdi, spesso grandi come un solo campo da tennis, che hanno riportato in città piante e arbusti autoctoni spesso millenari e capaci di resistere a caldi insopportabili per molte specie (Bloomberg Green).
Queste mini-foreste urbane sono merito dell’ostinazione di un architetto giordano e di un collega giapponese, uno dei tanti greenpoint che hanno costruito si trova nel quartiere industriale di Marka tra un campo profughi e un aeroporto e ospita l’olivello spinoso e il pistacchio dell’Atlantico. In autunno vedrà la luce uno spazio verde ancora più grande di circa 1.000 metri quadrati. Diverse aree del Medio Oriente si stanno riscaldando due volte più velocemente della media mondiale ma all’interno delle aeree ecologiche l’effetto di raffreddamento può raggiungere anche i 14 gradi.
On the road
Vi salutiamo con una notizia che è più una segnalazione nel caso in cui qualche nostro lettore debba ancora partire per le vacanze. La Ferrovia dei Parchi (la chiamano Transiberiana d’Italia) propone un percorso di ecoturismo che attraversa due dei più ricchi parchi nazionali del Belpaese, quello d’Abruzzo, Molise e Lazio e quello della Majella. Voluta dalla legge Baccarini del 1879 per collegare adriatico e tirreno, ancora oggi questa storica ferrovia è considerata un piccolo gioiello di ingegneria civile con la quota di valico più alta d’Italia (1.268 metri). Si parte da Sulmona per un percorso di 128 chilometri viaggiando sui vagoni originali dell’epoca e attraversando borghi e boschi dove nei secoli sono sorti eremi e abbazie (Bell’Italia). A bordo sono ben accetti animali e biciclette.
Buona lettura!