Il riscaldamento globale esacerba gli effetti del Niño: eventi estremi fino ad aprile 2024

alluvioni brasile

Secondo il nuovo aggiornamento  della World meteorological organization ci saranno precipitazioni più intense e periodi di siccità più lunghi

La National Oceanic and Atmospheric Administration (NOAA) e la World Meteorological Organization (WMO) concordano sul fatto che El Niño potrebbe raggiungere il suo picco nel periodo tra novembre 2023 e gennaio 2024. Sarebbe il più forte mai registrato dopo il 2016.

El Niño è un fenomeno climatico naturale periodico che induce un riscaldamento della superficie dell’Oceano Pacifico tropicale centrale e orientale di circa 0.5° C, provocando come conseguenza un’esacerbazione degli eventi climatici estremi in altre parti del mondo. Se combinato con gli attuali ritmi di emissioni di gas serra, che aumentando ulteriormente la temperatura media terrestre, può alterare il clima globale e favorire l’insorgenza di nuove malattie, prime fra tutte quelle infettive.

La fase calda di El Niño/Southern Oscillation (ENSO) si verifica in media ogni 2-7 anni con una durata di circa 9-12 mesi. Quest’anno ha ripreso durante la primavera dell’emisfero settentrionale, con un’impennata nel corso dell’estate (luglio-agosto), raggiungendo un livello moderato a settembre. Secondo la WMO l’aumento delle emissioni di gas serra legate alle attività umane sta accentuando la frequenza e la forza degli eventi di questo fenomeno che, con molta probabilità (90%), continuerà fino ad aprile 2024.

A causa della presenza del Niño, nei prossimi tre mesi si prevede dunque un aumento anomalo delle precipitazioni nel Corno d’Africa, nel bacino del Paranà in Sud America, nel sud-est del Nord America e in alcune parti dell’Asia centrale e orientale. Le piogge saranno invece inferiori alla norma in Nord America meridionale, Australia, Indonesia, Borneo, Papua Nuova Guinea, Filippine e in alcune isole a sud del Pacifico. Un’altra conseguenza importante de El Niño, già in corso, è la riduzione delle nevicate in gran parte del Nord America e l’aumento degli uragani sulla costa pacifica degli Stati Uniti.

Gli eventi estremi stanno già condizionando in modo significativo gli equilibri della Terra perché, se da un lato piogge e inondazioni possono distruggere abitazioni e infrastrutture, dall’altro, gli episodi di siccità minacciano le riserve idriche e l’agricoltura. A questo si aggiunge una maggiore esposizione della popolazione al caldo anomalo – la WMO riporta che la scorsa estate Francia, Grecia, Italia, Spagna, Algeria e Tunisia hanno segnalato nuovi record di temperatura massima diurna e notturna, superando picchi di 45°C – e la diffusione delle malattie infettive in aree favorevoli alla proliferazione di potenziali vettori. In base ad alcuni studi queste oscillazioni sembrerebbero indurre anche aborti spontanei in casi estremi o compromettere le funzioni cerebrali. Senza poi contare l’impatto sull’economia globale.

Stando a uno studio del Dartmouth College pubblicato su Science, gli effetti degli eventi estremi costeranno cento volte in più rispetto a quanto si pensasse in precedenza – circa 3,4 trilioni di dollari – e con il peggioramento della crisi climatica potranno arrivare perfino a 84 trilioni di dollari entro la fine del secolo. Ad esempio, Ecuador e Perù stanno già subendo gli effetti della scomparsa di molte popolazioni ittiche, cruciali per l’economia di questi Paesi, a causa dell’indebolimento dei venti caldi che soffiano verso ovest. Normalmente, gli alisei spostano le acque calde superficiali verso il Pacifico occidentale (fino al confine con l’Asia e l’Australia), favorendo la risalita delle acque più fredde, ricche di sostanze nutritive per le specie marine, lungo le coste ecuadoriane, peruviane e cilene. In presenza del Niño, però, si verifica un’inversione di rotta per cui le acque calde vengono sospinte verso est (dal Pacifico Occidentale alla costa settentrionale del Sud America) e, a loro volta, spingono più in profondità il termoclino – il livello di profondità dell’oceano che separa l’acqua calda superficiale da quella più fredda sottostante, ndr. Questo impedisce la risalita di acqua fredda e le specie marine sono costrette a emigrare.

I dati del Copernicus Climate Change Service (C3S) rivelano che ad agosto la temperatura media globale della superficie marina ha raggiunto per la prima volta 20,98° C, con un’estensione del ghiaccio marino antartico inferiore alla media del 10% . Le previsioni attuali della WMO indicano che l’aumento delle emissioni di gas climalteranti e degli eventi correlati a El Niño potrebbero mettere a rischio la sopravvivenza di miliardi di persone. Occorre restare entro il limite di 1,5° C in più dell’epoca pre industrale. Ai ritmi attuali, tuttavia, secondo un articolo pubblicato di recente sul South China Morning Post la temperatura terrestre potrebbe raggiungere i 2,7° C entro la fine del secolo, mettendo a rischio la vita di due milioni di persone.